25 novembre: una giornata che non dovrebbe esistere

«La violenza contro le donne, dallo stalking al feminicidio, è una questione che riguarda tutti. Non è una questione solo femminile ma un tema cruciale di cui le donne e soprattutto gli uomini si devono far carico. Anche per questo, il Coordinamento Donne si è fatto promotore di una iniziativa forte raccolta da tutta la Presidenza nazionale delle ACLI, che letteralmente “ci ha messo la faccia”».

Così Agnese Ranghelli, responsabile nazionale del Coordinamento Donne ACLI, commenta in prima battuta i dati della violenza contro le donne, assurti drammaticamente agli onori delle cronache (nere) ma non ancora degni di interventi strutturati e coordinati, neanche nel monitoraggio del fenomeno. E ribadisce la necessità che ciascuno si senta coinvolto e faccia la propria parte e anche qualcosa in più.

«Stiamo parlando» – ricorda Agnese Ranghelli – del fatto che «in Italia ogni 3 giorni una donna viene uccisa e che il 70% delle violenze si consumano all’interno delle mura domestiche. Che l’Istituto di ricerca Eures stima in 1.740 i femminicidi commessi negli ultimi 10 anni, mentre l’Istat – alla rilevazione al 31/12/2014 – stima in quasi 7 milioni le donne che nel corso della loro vita hanno subito “una qualche forma di violenza fisica o sessuale”».

Oggi, questi dati sono sotto i riflettori perchè si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una giornata che non dovrebbe esistere. Perché ogni giornata della vita di ciascuno di noi dovrebbe essere vissuta senza alcuna forma di violenza.

Questa giornata che non dovrebbe esistere è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. Scelta da un gruppo di attiviste, riunitesi a Bogotà nell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi nel 1981, ricorda il brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos per oltre 30 anni.

In Italia la ricorrenza viene ricordata solo dal 2005. Ma già due anni dopo, nel 2007, oltre 100.000 donne scendono in piazza a Roma “Contro la violenza sulle donne”, senza alcun patrocinio politico.
Dal 2006, la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, oltre a costituire una delle poche fonti nazionali sul fenomeno, promuove il Festival “La Violenza Illustrata”, unico nel panorama internazionale interamente dedicato alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

Insomma, in pochi anni l’attenzione e le iniziative sul fenomeno della violenza contro le donne sono cresciute. Come l’attenzione della stampa, d’altra parte, anche se su questo versante davvero molto ci sarebbe da dire e da fare.

Ciò che è certo, è che mentre l’affermazione dell’uguaglianza e il divieto di discriminazione sono parte integrante del sistema dei diritti umani sin dagli inizi, il tema della violenza contro le donne entra nel dibattito internazionale solo molto tardi – sostanzialmente negli ultimi dieci anni – e ancora oggi incontra resistenze e conflittualità.

Il documento più importante è la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, del 1993, frutto di una forte pressione dei movimenti delle donne, culminata nella Conferenza di Vienna sui diritti umani. La Dichiarazione fornisce per la prima volta una definizione ampia della violenza contro le donne, definita come “qualunque atto di violenza sessista che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata.” Nella stessa conferenza di Vienna si è decisa anche l’istituzione di una Relatrice speciale ONU sulla violenza contro le donne.

Negli anni seguenti, il tema della violenza contro le donne è stato approfondito nella Conferenza di Pechino, e poi nel dibattito della Commissione donne dell’ONU, della Commissione diritti umani, dell’Assemblea generale, fino all’Assemblea di “Pechino+5”, alla stessa Assemblea del Millennio, che nella sua Dichiarazione finale pone la lotta alla violenza sulle donne come uno degli obiettivi centrali delle Nazioni Unite del 2000, alla Convenzione di Istanbul.

Il tema rimane comunque conflittuale, permanendo profonde divergenze su come riconoscerla, prevenirla, punirla e perfino definirla all’interno dei sistemi normativi e giuridici comuni.
Ma l’inasprimento delle leggi per chi si macchia di questi orribili delitti, nel nostro Paese non è riuscito ad arginare il femminicidio. Le donne che lavorano nei Centri antiviolenza lo dicono da tempo. L’apparato sanzionatorio interviene alla fine della catena delittuosa e comunque non costituisce un deterrente efficace. Bisogna intervenire all’origine del fenomeno.

Siamo tutti convinti che necessiti un cambiamento culturale che debba partire dalle agenzie educative – famiglia e scuola in primis – con il coinvolgimento di tutti. Che si debba diffondere un’educazione basata sulla conoscenza e sul rispetto dei generi, sulla capacità di gestire ed esprimere le emozioni, sull’idea paritaria e rispettosa del prossimo; non improntata su aspettative stereotipate che rappresentino le bambine tranquille e serene, e i bambini irruenti e violenti. Far capire che violenti non sono solo i criminali, ma anche tutte quelle persone comuni che usano la forza nelle relazioni con gli altri.

«Come Coordinamento Donne ACLI, ma vorrei dire soltanto come ACLI – afferma Agnese Ranghellilanciamo un appello perché le donne denuncino i comportamenti violenti prima che sia troppo tardi. Perché si crei un percorso di presa in carico del soggetto denunciante, senza soluzione di continuità. Perché si intervenga fortemente, compattamente, unitamente e convintamente a scardinare una cultura avvilente, che ci costringe tutti in comportamenti coatti, lontani da una civiltà delle relazioni che sappia farci vivere felicemente».