Acli Rimini, il rapporto sul lavoro nel capoluogo romagnolo: Il lavoro al centro

Disoccupazione giovanile alle stelle e imprese falcidiate. Questo il risultato del report sul lavoro e l’economia in Romagna effettuato dalle Acli provinciali di Rimini e curato da Primo Silvestri. Un quadro sconfortante, che da’ della città una visione molto diversa da quella abituale di luogo di divertimento e relax o da quella dipinta dalle istituzioni pubbliche locali, che vedono il capoluogo romagnolo in continuo movimento dal punto di vista economico.

Il rapporto scende nel dettaglio delle criticità riscontrate: stallo occupazionale soprattutto per la fascia di età dei Millennials, abbassamento della media salariale, mancanza di competenze professionali e formative specifiche, chiusura di circa 1.600 imprese in 6 anni (dal 2011 al 2017).

Lo stallo occupazionale è il primo e più grave effetto di questo mondo del lavoro ormai “spompato” da condizioni “strascicate” negli ultimi 10 anni. La Romagna, a differenza dell’Emilia e nonostante il grande apporto del settore turistico, è bloccata ai 140mila occupati del 2016, compreso il settore-traino della zona. Quello turistico è un settore che non crea lavoro duraturo e di qualità.

Inoltre, i laureati romagnoli non trovano occupazione: secondo l’indagine Excelsior-Unioncamere, per ogni cento nuove promesse di assunzione i laureati richiesti ammontano a 5 a Rimini, 7 a Forlì-Cesena, 8 a Ravenna, 10 in Emilia Romagna e 11 in Italia.

“Nei settori locali che domandano più laureati – spiega Silvestri, curatore del rapporto – ci sono l’industria manifatturiera (1 su 6 circa), i servizi avanzati alle imprese (4 su 10), l’assistenza e la sanità (3 su 10)”.

Inoltre, le persone in cerca di lavoro in provincia di Rimini erano 11mila nel 2010 e 16 mila nel 2017  di cui 8mila donne, 2mila in più fra il 2016 e il 2017. E tutto ciò mentre il tasso di disoccupazione in regione diminuisce. Per non parlare della disoccupazione giovanile, che tocca quota 31%, contro il 21,2% regionale.

In questa condizione, è aumentata l’emigrazione verso l’estero: già 23mila riminesi partiti nell’ultimo anno.

L’abbassamento della media salariale dipende soprattutto dalla mancanza di richiesta di quadri e dirigenti. Essendo queste le figure professionali con più alto livello salariale e mancando all’appello, il livello medio degli stipendi dei riminesi che arriva a -60% rispetto ai lavoratori di Bologna (circa 16mila euro, contro i 25mila dei bolognesi per la stessa categoria e livello professionali).

Le retribuzioni medie annuali, secondo i dati Inps – Osservatorio lavoratori dipendenti, sono le seguenti: Forlì-Cesena 20.687, Ravenna 21.606, Rimini in fondo alla classifica con 16.080. Se poi il raffronto avviene con Bologna salta subito all’occhio il divario: 25.663.

La formazione e le competenze professionali grandi assenti. Le aziende riminesi alla ricerca di profili professionali specifici non riescono a creare occupazione. “Le persone che cercano lavoro non hanno i requisiti giusti (formazione e competenze) per ricoprire i posti vacanti nelle aziende che sono tornate ad assumere – dichira Primo Silvestri – Sono queste le aziende più dinamiche, innovative e soprattutto, quasi tutte, sempre più proiettate sui mercati internazionali”.

A questa situazione di gap domanda-offerta le imprese stanno lentamente rispondendo creando offerta formativa professionale gestita in in-sourcing, creando “laboratori di mestieri” e seminario didattico-formativi aziendali.

Chiudono le imprese. Nel 2011 erano 36mila le imprese attive in provincia di Rimini, nel 2017 34,3mila: 1600 imprese sono state falcidiate da questo stato di crisi del mondo del lavoro riminese. Quasi 5mila occupati in meno. In rapido calo anche le imprese giovanili – gestite da under 35 – che scendono di circa 1000 unità: da 3,7mila a 2,6mila. Solo le start-up resistono: salite da 8 nel 2013, a 105 nel marzo del 2018. la tipizzazione di queste nuove imprese dalla forma societaria “leggera” è suddivisa in: imprese di servizi (+6 su 10); commercio e turismo (2 su 10); industria (circa 2 su 10). Il dato è confortante, ma perde “peso” se confrontato con la media nazionale legata alle start-up. Dai dati del Mise, Relazione 2017. Se a livello nazionale le start-up innovative sono quasi 9mila con un valore medio di produzione da 83mila euro del 2014 a 263mila del 2016, nel riminese la maggior parte delle start-up non arriva a produrre 100mila euro e rimane sotto i 10 addetti.

Le Acli di Rimini hanno sottoposto all’attenzione delle istituzioni locali alcune proposte concrete per avviare un processo di crescita economica e di ristabilizzazione della situazione lavorativa riminese: progettazione e realizzazione della formazione professionale in raccordo con le imprese più innovative e competitive della zona; implementazione del rapporto tra mondo della ricerca (universitaria, pubblica e privata) e imprese locali; rafforzamento dei settori economici in crescita rispetto al mercato (segmenti turistici specifici come quello del benessere); facilitazione nell’insediamento locale di start-up innovative.

Si auspica che le amministrazioni locali siano in grado di prendersi in carico queste proposte e seguire il buon esempio attuato dal Comune di Bologna, con la messa in campo di un “piano quadriennale anticrisi” con un investimento complessivo di 14milioni di euro e dal più vicino Comune di Cesena che ha istituito nel 2017 un “tavolo dell’economia e del lavoro” con l’obiettivo primario di creare nuove opportunità d’impiego.