Amati da un Padre misericordioso

Gesù racconta questa unica parabola (15,3) per gli scribi e i farisei che mormorano alle spalle di Gesù accusandolo di accogliere e mangiare con i peccatori.

Occorre prima di tutto sottolineare come Gesù voglia aiutare i suoi interlocutori a superare la separazione tra dentro e fuori la comunità di coloro che si ritengono oggetto della misericordia di Dio. Infatti i farisei e gli scribi si ritengono degli osservanti della legge e dunque dentro la comunità del popolo di Dio, mentre ritengono i peccatori, proprio per il loro peccato, fuori da quella medesima comunità.

Per questo Gesù parla di un pastore che va fuori a ritrovare la pecora perduta, quella che era dentro e ora si trova smarrita fuori, e di una ricerca in casa della moneta perduta, perché ci si può perdere sia fuori che dentro una comunità. Così come un figlio, il minore, va fuori e si perde, e un altro figlio, il maggiore, si perde dentro la casa, perché non riconoscere nel padre il suo amore, che invece è uguale per tutti e due i figli, secondo il bisogno di ciascuno.

Gesù vuole mostrare che se ama i peccatori, facendosi loro vicino, non di meno ama anche i farisei e gli scribi, che tuttavia hanno meno bisogno di lui, in quanto sono meno peccatori nella vita pratica, ma più peccatori di coloro che giudicano, proprio per il giudizio che pronunciano su di loro.

La prima parte della parabola (15,4-10) è propedeutica alla seconda parte (15,11-32). Infatti la ricerca della pecora perduta e della moneta persa producono il medesimo risultato: la gioia in cielo per un peccatore che si converte. Gesù invita così i suoi interlocutori a gioire con lui per il miracolo della conversione dei peccatori. E’ una gioia che si trasmette a tutta la comunità e che dovrebbe essere il fine del suo agire nel mondo: accogliere e farsi vicino ai peccatori per mostrare loro l’amore di Dio che li spinge a conversione. Tutti siamo peccatori e quindi tutti, con umiltà, dovremmo sentirci amati da Dio, non per i nostri meriti, ma per il nostro peccato.

La seconda parte della parabola ci mostra due fratelli e un padre. Costui è colui che è caratterizzato dal dare ciò che è necessario per vivere: al minore, quando lo richiede, la sua parte di eredità, al maggiore: «tutto ciò è mio è tuo» (15,31). E al minore, quando ritorna, egli dà i segni della regalità: il vestito, l’anello, i sandali. Il padre mostra la sua misericordia con il dare il necessario per la vita.

I due fratelli, ognuno per la propria esperienza, sono chiamati a passare da un’idea del padre come un padrone (il minore: «trattami come uno dei tuoi salariati»; il maggiore: «io ti servo da tanti anni») a riconoscere in lui colui che ha dato loro la vita e che continua a dargliela dando loro ciò che è necessario per viverla.

Inoltre la parabola ritorna al suo centro e fine, quando il padre chiede al figlio maggiore di gioire per il ritorno del fratello: «bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Egli rappresenta i farisei e gli scribi che mormorano nei riguardi di Gesù perché si è mostrato misericordioso con i peccatori.

La parabola non dice quello che farà il fratello maggiore: entrerà in casa, magari borbottando, ma farà festa oppure se ne starà fuori imbronciato, diventando così oggetto a sua volta della ricerca del padre-pastore-donna di casa? La parabola non lo dice apposta, perché ognuno, identificandosi con uno dei fratelli, possa accogliere la parola di vita che viene dal Signore e che ci raggiunge in qualunque situazione ci troviamo, dentro o fuori della comunità visibile dei cristiani, da peccatori o da coloro che si ritengono giusti.

E’ una parabola ricca che chiede a tutti di identificarsi con il padre che sa accogliere e amare ciascuno dei suoi figli, per la situazione in cui si trova, che non smette di cercare l’uno e l’altro, sapendo però lasciare con dolcezza a ciascuno la libertà delle proprie scelte, non per ributtargliele in faccia alla prima occasione buona, ma per mostrare ancora una volta il suo paziente volto misericordioso.

 

11 settembre 2016 – XXIV Domenica Tempo Ordinario – Anno C

Luca 15, 1-32

In quel tempo, 1 si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

3Ed egli disse loro questa parabola: 4 «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5 Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7 Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9 E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10 Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. 13 Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17 Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19 non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20 Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22 Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23 Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27 Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28 Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29 Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31 Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

 

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