Terzo Settore: tre fatti che ci si aspetta subito dal Governo

La triste vicenda dell’IVA, che rischia di trascinare gran parte del Terzo settore nell’essere considerato “commerciale”, potrebbe non essere un incidente isolato, ma riflettere una visione di Terzo settore che non ne riconosce pienamente la varietà di esperienze e forme, ma tende a voler polarizzare l’attenzione soprattutto su realtà, pur importanti e di valore, quali quelle, da un lato, dell’impresa sociale e, dall’altro, degli enti centrati quasi esclusivamente sul volontariato e privi di un’organizzazione economica, se non ridotta e limitata. Ragion per cui tutto ciò che è autofinanziamento o mutuo aiuto viene aprioristicamente a cadere appunto sotto la definizione di commerciale, negando nei fatti la realtà che racconta come l’economia non sia esclusivamente mercato e perseguimento di un utile.

Allora adesso servono risposte più ampie del solo sanare l’errore fatto.

Primo: siamo un po’ stanchi di essere considerati – con tutto il rispetto per i bar – più pericolosi dei bar.

Si disconosce l’esistenza di larga parte del Terzo settore, che si occupa di socialità e cultura, chiudendolo laddove (zone gialle) si consentono invece le aperture di tanti esercizi commerciali. Intendiamoci: se c’è da chiudere si chiude, la salute prima di tutto, ma se si può anche solo parzialmente e con criterio aprire lo si fa senza discriminazioni. Certo tutto ha bisogno di essere fatto con attenzione e provvedimenti dettagliati, che evitino pericoli, ma questo si può costruire. Tra l’altro parliamo spesso di attività esclusivamente rivolte a soci, e quindi a persone che si conoscono e questo può essere un fattore ulteriore di tutela. Non solo, molte di queste attività sono chiamate in causa dallo stesso Governo, con stanziamenti progettuali recentemente aumentati, proprio per provare a continuare la propria attività in parte a sostegno di chi sta a casa, in parte per sostenere quella socialità senza la quale molte persone tendono ad andare oggettivamente sottopressione e crescono l’isolamento e, talvolta, con esso i casi di abbandono a una vita di stenti. Non facile farlo dovendo di fatto chiudere le proprie sedi.

 

Secondo: subito e rapido il tavolo sulla fiscalità.

Il Presidente Conte sollecitato durante la Giornata del Volontariato, dal Forum del Terzo settore, ne ha accolto la proposta di procedere rapidamente ad un tavolo sulla fiscalità che metta al riparo da altri incidenti e consenta di porre rimedio ad alcuni chiarimenti e migliorie della parte fiscale della Riforma del Terzo settore, più volte rimandate o sulle quali le possibilità di dipanarsi per via interpretativa sono state disattese.  La stessa riforma avevo previsto un’opportuna fase correttiva, sulla quale però si è proceduto troppo frettolosamente e di fatto sempre solo mettendo delle pezze. Il risultato è che per la stragrande maggioranza degli enti, di natura non commerciale, nei fatti il peso della gestione diventa dispendioso, al punto che non potranno bastare consulenze, servizi e formazione da parte delle reti nazionali o dei centri servizi (che saggiamente la riforma prevede), ma si renderà necessaria una gestione contabile non di poco conto in ogni ente: un fardello insopportabile per molta parte delle realtà che sono piccole associazioni locali. Non era del resto questo l’intento complessivo della riforma, e come ben descritto dalla Portavoce del Forum, Claudia Fiaschi, quello del tavolo richiesto è un passaggio essenziale per farla decollare completamente. Comprensibilmente ci si preoccupa che il tavolo fiscale possa frenare ulteriormente la richiesta di parere alla UE sulla gran parte delle norme fiscali, ma anche su questo la Portavoce ha spiegato che le proposte del mondo del Terzo settore, ampiamente dettagliate e attente al quadro fiscale complessivo nel quale si collocano, consentono certamente una conclusione rapida. Evitando così altre future incomprensioni di questa o altre maggioranze, dopo quelle sull’IVA e, scorso governo, sull’IRES.

Terzo: il Terzo settore al tavolo con le parti sociali per immaginare una nuova normalità

Fermo restando il ruolo di Parlamento e partiti, il Terzo settore insieme alle parti sociali, nonché regioni e comuni, sia convocato a un confronto permanente su come si sta affrontando la crisi e su come si disegna (Recovery e non solo) una nuova e diversa normalità, per un periodo che sarà ancora lungo e per il dopo, con un piano di sviluppo e rilancio della nostra economia nel senso di uno sviluppo sostenibile (come indicato dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile). Molteplici sono le questioni di primaria importanza sulle quali il Terzo settore può e deve portare un valore aggiunto determinante.

In primo luogo la gestione della pandemia stessa.

Prima o poi, appena si riuscirà ad abbassare veramente la curva dei bollettini di guerra quotidiani, sarà necessario trovare un’”altra normalità”, in grado di mettere in campo chiusure parziali o restrizioni e riorganizzazione dei tempi delle città che dovranno essere tanto sostenibili quanto garanti della salute. Per esempio nel raddoppio dei fondi per la salute chiesto dal ministro Speranza non può non essere considerato il ruolo del Terzo settore con le comunità e i comuni per la promozione della salute e per il sostegno alla domiciliarità e a forme di socialità protetta e territoriale senza le quali è difficile dettare una vera inversione di tendenza, specie pensando a tante fragilità.

In secondo luogo perché ci si è dimenticati che questo, piaccia o meno, è il Paese dei territori, delle comunità, spesso anche dei campanili come dei distretti: lo sviluppo come la gestione dell’emergenza o avvengono convocando le comunità a costruire una progettazione partecipata e strategica locale, dentro un quadro nazionale ed europeo, o non ci sarà quell’indispensabile piena responsabilizzazione civile che in altri Paesi è più scontata. Lo stesso uso di fondi e la programmazione europea, o gli evocati new deal non saranno mai realtà senza l’attivazione di una partecipazione attiva a uno sviluppo innanzitutto locale. Non perché le comunità siano quel Mulino bianco di bontà spesso evocato, ma perché, nel bene o nel male, in questo paese da lì si è sempre passati, lì stanno vocazioni e criticità da mettere sul piatto. La differenza vera è se scegliamo lo sviluppo locale in mano ai notabili o lo apriamo effettivamente alla libera partecipazione delle persone e al coinvolgimento popolare. E di questa convocazione delle comunità il Terzo settore può e deve essere una leva fondamentale.

In terzo luogo (ma il più importante) perché il Green New Deal europeo sarà lettera morta, se non altra occasione di speculazione, se non interpretato dentro un quadro di giustizia sociale, di distribuzione della ricchezza e delle opportunità, specie nell’era digitale, se non sarà un “Green e Social New Deal”. Insegna la Laudato si’ di Papa Francesco: degrado ambientale e degrado sociale sono intimamente legati, e come tale deve essere legata anche la risposta. Ma ciò vuol dire valorizzare il ruolo anche di rappresentanza che il Terzo settore, non da solo ovviamente, deve avere a favore di tutti quei diritti e quelle responsabilità drammaticamente negati (in primis i livelli essenziali delle prestazioni previsti all’art. 117 comma m della Costituzione), che sono il vero punto di partenza.

Lo sviluppo sostenibile è tale se presuppone innanzitutto uno sviluppo sociale e civile capace di farci posare concretamente i piedi sul fatto che ci si salva solo insieme, tutti. Persone, popoli e pianeta.

 

Stefano Tassinari

Vicepresidente nazionale ACLI Responsabile Terzo settore