Il popolo di Dio in papa Francesco

L’attenzione al popolo di Dio è una delle innovazioni, forse tra le meno intercettate dai media, ma sicuramente tra le più incisive, del pontificato di Francesco.

Già dal 13 marzo 2013, quando Jorge Mario Bergoglio è stato eletto, si è subito notata quanta importanza il nuovo “vescovo di Roma” attribuisse al popolo. La richiesta di essere benedetto dal popolo, l’indicazione di iniziare un nuovo cammino “vescovo e popolo, popolo e vescovo” manifestano la centralità del tema e dell’importanza del rapporto tra il Papa e la sua chiesa, Roma. Una delle prime tentazioni è di considerare il Papa un populista, e come argentino, un po’ peronista. Non è così.

Popolo di Dio è una categoria del Concilio Vaticano II, il capitolo secondo della Lumen Gentium si intitola proprio Popolo di Dio. Osserva Stella Morra che “aver voluto cominciare a disegnare un profilo di Chiesa proprio da qui, dalla sua costituzione come soggetto di popolo, plurale e diversificato, che si individua come una unità e che si riconosce sottoposto solo alla signoria di Dio, che lo costituisce, lo guida e lo governa, lo conserva e lo conduce, aver voluto questo inizio, è la scelta che fa la differenza” (cfr. “Introduzione” in Popolo, antologia a cura d C. Carbajal de Inzaurraga e P. Pallanch, Roma 2015, 3-14).

Il Centro studi dell’Azione cattolica italiana ha dedicato un incontro di approfondimento, a partire da una riflessione di don Walter Insero, docente di teologia dogmatica ed ecclesiologia alla Pontificia università gregoriana, il quale ha evidenziato quattro dimensioni da cui si può dedurre l’immagine di popolo di Dio nella pastorale di papa Francesco:

1) Chiesa come popolo di Dio in cammino nella storia

Francesco porta con se l’esperienza pastorale di vescovo di Bueons Aires, dove ha cercato di intrecciare una relazione con i fedeli senza barriere. Molto si è parlato, dopo la sua elezione del suo utilizzo dei mezzi pubblici, delle sue visite costanti nelle periferie povere della metropoli, ad esempio.

Ma Francesco porta con se anche il bagaglio culturale della Teologia del popolo che è stata sviluppata in Argentina, soprattutto da alcuni teologi, a partire dal Concilio Vaticano II in poi.

In essa si sottolinea come il popolo sia espressione storica e visibile della Chiesa. È un popolo tra popoli, ma anche un insieme di popoli che fa dunque i conti con le diverse culture e le diverse modalità in cui ogni popolo legge la fede.

Scrive Juan Carlos Scannone sj , con l’aiuto dell’Evangelii Gaudium: «È questo popolo nel suo insieme che annuncia il Vangelo. Dio “ha scelto di convocarli come popolo e non come esseri isolati […]; ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che comporta la vita in una comunità umana”» (EG 113).

Il vescovo allora esprime il suo ministero in ascolto del popolo e in ascolto di Dio. Nel gesto di Francesco con il capo chino, che attende la benedizione a piazza San Pietro, c’è il riconoscimento di una santità del popolo c’è la richiesta di un’intercessione che il popolo fa di fronte a Dio Padre per il suo vescovo.

Questa immagine di chiesa “popolo” ci consegna una realtà concreta, tangibile, non più astratta o chiusa in palazzi istituzionali. Ma Chiesa composta da uomini e donne tra altri uomini e donne.

2) Sensus fidei del Santo fedele di Dio

C’è un’infallibilità del popolo nel credere. Quella che Francesco chiama infallibilitas in credendo, «questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova le parole per esprimere la sua fede … Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, ben­ché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione» (EG 119).

Ogni battezzato è un membro del popolo di Dio ed esprime la forza santificatrice dello spirito. Questo non significa escludere eliminare le dimensioni gerarchiche della Chiesa, ma riconoscere l’uguale dignità nella differenza di ogni carisma e ministero.

Spiega Insero: “Non si ha mai la percezione che papa Francesco guardi e comprenda la Chiesa dal vertice della piramide ecclesiastica, egli vive dall’interno e la considera dalla periferia, da dove egli sostiene si vede e si comprende meglio ciò che avviene al centro”.

3) Popolo di Dio annunciatore del Vangelo

L’immagine di popolo che viene delineata da Francesco non è chiusa, ma aperta e in movimento, ricalca l’idea di Chiesa in uscita.

Il papa rilancia l’Evangeli nuntiandi di Paolo VI evidenziando che l’evangelizzaizone è la vocazione della Chiesa e la sua massima sfida missionaria. Il principale titolare di questa azione è proprio il popolo di Dio.

La dimensione pastorale si avvicina a quella della Chiesa ospedale da campo che è in mezzo al mondo e che apre continuamente possibilità e opportunità di dialogo con tutti, senza escludere nessuno e a partire dagli ultimi, i poveri, perché la fede è una via accessibile ai piccoli. Si veicola l’idea di una Chiesa povera per i poveri.

Inoltre proprio i poveri con il loro minore livello di istruzione, di risorse materiali e di potere sono maggiormente in grado di esprimere la “cultura originale del popolo”, quella meno omologata alla cultura di massa.

4) Forza evangelizzatrice della pietà popolare

C’è, infine, una forza propulsiva nella pietà popolare, nell’espressione religiosa che mostra il volto della Chiesa che crede: la devozione mariana, le celebrazioni della via crucis, le processioni patronali assumono un significato più alto quando vengono intese come segno di una spiritualità popolare, che non ha l’ambizione di spiegare nulla, ha la voglia di compiere un atto di fede.

Per illustrare questa forza propulsiva Insero riprende l’Evangelii Gaudium quando si cita il documento di Aparecida: «si tratta di una vera spiritualità incarnata nella cultura dei semplici. Non è vuota di contenuti, bensì li scopre e li esprime più mediante la via simbolica che con l’uso della ragione strumentale, e nell’atto di fede accentua maggiormente il credere in Deum che il credere Deum» (EG 124).

Quattro questioni aperte

Le quattro dimensioni che inquadrano la Chiesa popolo di Dio di Francesco ci consegnano alcune questioni sui cui parrebbe opportuno soffermarsi per poter meglio comprendere la prospettiva magisteriale e collocarle in un contesto specifico.

In primo luogo c’è il rapporto tra popolo e fedeli. Mentre si mantiene una forte attenzione verso il popolo che cammina insieme va compreso il ruolo dei singoli per renderli sempre protagonisti della propria vita. C’è un equilibrio da comprendere tra libertà personale e legame comunitario. Specialmente nelle società occidentali dobbiamo lavorare per meglio chiarire la differenza tra cittadino e comunità politica e battezzato e comunità credente.

In secondo luogo c’è l’esigenza di ridisegnare un ruolo dei “corpi intermedi” ecclesiali. Come si collocano all’interno del popolo di Dio, a quale ruolo – o quale ministero – viene loro chiesto di svolgere, come valorizzare le loro relazioni.

In terzo luogo c’è la differenza di “popoli” nel rapporto con la povertà. Il binomio poveri-popolo in America Latina non è lo stesso che in Europa e in Italia. Le distanze sociali sono molto meno ampie e il livello di benessere è diverso. Certo poi, anche nel Vecchio continente ci sono i poveri, ma non sono la maggioranza della popolazione. Allora c’è da ricercare una seconda dimensione, senza abbandonare la prima dimensione.

C’è allora la categoria evangelica dei poveri in spirito che può venire incontro e quel richiamo che proprio Francesco ha fatto alla “classe media della santità” di Joseph Malégue:«Nel grande disegno di Dio ogni dettaglio è importante, anche la tua, la mia piccola e umile testimonianza, anche quella nascosta di chi vive con semplicità la sua fede nella quotidianità dei rapporti di famiglia, di lavoro, di amicizia. Ci sono i santi di tutti i giorni, i santi “nascosti”» (Francesco, Omelia San Paolo fuori le mura, 14 aprile 2013).

In quarto luogo c’è un’idea di comunicazione e trasmissione della fede che eccede le parole e la razionalità, un‘idea a cui noi, da molto tempo, non siamo abituati e che il processo di secolarizzazione ha messo fuori gioco. Se però i riflettori dei media e gli approcci intellettuali non li considerano, questi continuano a vivere nelle comunità parrocchiali, portati avanti dalla sensibilità dei fedeli e dei loro parroci. Si tratta di riscoprire una ricchezza, a volte trascurata: l’abitudine a cercare la spiegazione logica e razionale per giustificare la fede, a volte ci ha fatto perdere la capacità di renderla visibile attraverso le emozioni e i sentimenti che rivelano una sua dimensione popolare.