Il Rei è pensato perché oltre al reddito ci sia inclusione

In occasione dell’approvazione definitiva del decreto legislativo che, a partire dal 1° gennaio 2018, introduce la misura unica per il contrasto alla povertà, il Reddito di Inclusione (Rei), l’HuffPost ha pubblicato un articolo in cui si chiedeva un parere ad alcuni economisti. Fermo restando che il Rei rappresenta il secondo passo nella lotta all’esclusione sociale – dopo l’introduzione del Sia, che ha aperto la strada – è però importante chiarire alcuni aspetti: proprio perché il Rei andrà migliorato è infatti fondamentale che il confronto sulla misura e sulla sua attuazione si basi su elementi precisi.

Siamo tutti d’accordo sul fatto che le risorse stanziate siano insufficienti e non consentano ancora di raggiungere tutte le persone in povertà assoluta: otterrà il Rei poco più di un povero su tre. Rendere la misura universale deve essere certamente un traguardo per tutti, ma bisogna evitare che si incrementi l’utenza senza prevedere risposte adeguate nell’importo dei contributi economici e nei percorsi d’inclusione sociale. Il rischio è che si raggiungano sempre più persone, senza però dare loro la possibilità di migliorare effettivamente le proprie condizioni, che è esattamente la vera sfida del Rei, perché è così che è stato pensato e disegnato.

È pertanto indispensabile che eventuali risorse aggiuntive in sede di scrittura della legge di Bilancio potenzino sia la dimensione dei servizi alla persona sia i trasferimenti monetari. I primi costruiscono i percorsi d’inserimento sociale e/o lavorativo dei beneficiari, rendendo disponibili le competenze e gli strumenti per ri-progettare l’esistenza e per consentire loro, dove possibile, di uscire dalla povertà e, in ogni caso, di massimizzare l’autonomia personale (in particolare, il Rei prevede un finanziamento finalizzato per i servizi sociali comunali responsabili del piano personalizzato).

I secondi, ovvero i trasferimenti monetari hanno un importo determinato dalla distanza tra una soglia, definita in base al numero di componenti, e il reddito della singola famiglia. Il vero problema è che gli importi erogati non consentono ai beneficiari del Rei ancora di raggiungere la soglia di povertà (l’importo di una misura contro la povertà si determina come la distanza tra soglia di povertà e il reddito disponibile), ma questa è una partita aperta.

In merito alla questione dell’indifferenziazione territoriale, ovvero dell’uniformità della misura tra Nord e Sud e del Paese, va precisato che nel calcolo dell’importo si prevede un rimborso parziale del canone di locazione che varia sensibilmente tra le diverse aree del paese. In altre parole l’importo del Rei varia in base al costo dell’abitare, che risulta la componente del reddito più sensibile alle differenze territoriali.

Una considerazione finale: ci ha fatto piacere in questi giorni leggere alcuni elementi, anche critici, che ci aiutano a migliorare il lavoro che stiamo facendo, che cerca di disegnare un welfare più moderno e più attento all’aumento delle diseguaglianze. Se si potesse mantenere sempre così alto il livello del dibattito, allora potremmo sperare di contribuire a dotare il Paese di provvedimenti il più possibile efficaci ed efficienti.

Roberto Rossini