IV Domenica di Pasqua

Domenica – 7 maggio 2017 – Anno A
Parola del giorno: At 2,14a.36-41; Sal 22; 1Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (Gv 10,1-10)

In quel tempo, Gesù disse: «1In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. 7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

COMMENTO AL VANGELO
a cura di don Antonio Cecconi, accompagnatore spirituale Acli Pisa

Quella del pastore è una delle immagini più antiche e care con cui le prime comunità cristiane rappresentavano Gesù. Coglie un aspetto che, insieme alla verità teologica, dichiara un legame spirituale, umano, affettivo. Naturalmente è necessario fare un salto all’indietro, a ciò che significava la relazione dei credenti col Signore risorto nell’immaginario collettivo di un popolo per il quale la terminologia legata alla pastorizia (pecore, ovile, pascolo…) diceva un’esperienza quotidiana della vita e del lavoro di molti.

 

Proprio dalla terminologia “pastorale” di questa e altre parabole viene un primo importante messaggio: il cristiano vive la sua fede nella storia, il Vangelo non chiede di uscirne fuori, di astrarsi dalla vita quotidiana di cui il lavoro è parte consistente e significativa. Anzi, la Buona Notizia è veicolata proprio da immagini desunte dalla vita affinché si cali nella vita, e in particolare nell’esperienza lavorativa.

 

Basti pensare alle tante parabole con cui Gesù insegna attraverso paragoni e racconti legati ai mestieri del suo tempo, al radicamento nella sua terra: i campi coltivati a frumento, e quindi la semina, la mietitura e il raccolto come pure tutto ciò che riguarda la cura della vigna; il lavoro dei pescatori; le diverse attività domestiche con relativi usi e costumi. E tutto ciò che rivela conoscenza e amore per il territorio, con la sua flora e la sua fauna.

 

È uno dei tanti aspetti – e pensandoci bene non secondario – dell’incarnazione, di Dio-fatto-uomo che assume su di sé, eccetto il peccato, tutto ciò che fa parte della condizione umana, storica e geografica. E che gode dello splendore della creazione, scorgere fin dai piccoli segni – l’agnellino appena nato, il fiore sbocciato, gli uccellini su un albero, i campi che biondeggiano per le messi – il segno della provvidenza divina, da accogliere e vivere non come possesso, ma come dono. 

 

Dall’attenzione riconoscente alla responsabilità verso il creato il passo è breve, e non ringrazieremo mai abbastanza papa Francesco per la LAUDATO SI’, enciclica sulla “cura della casa comune” in ordine alla quale – sia come singoli credenti, sia come comunità cristiane – abbiamo non pochi peccati di omissione da farci perdonare.

 

L’altro messaggio che deduciamo da questo e altri brani del Vangelo dedicati al pastore e alle pecore si riferisce a ciò che è diventato linguaggio abituale della chiesa: “la pastorale”, termine con cui si intende tutta la vita e la missione della chiesa, la sua presenza e testimonianza nel mondo. Con uno stile da attuare e verificare in relazione a “quel” Pastore dietro al quale la chiesa cammina, uno stile che non può prescindere dalla cura e condivisione delle “gioie e speranze, tristezze e angosce degli uomini del nostro tempo, soprattutto dei più poveri e di tutti quelli che soffrono” (GS 1).

 

Le immagini dell’entrare e uscire, proteggere, trovare pascolo e sicurezza di vita che risaltano nel Vangelo odierno raccontano una cura che si sviluppa in un rapporto fiducioso, franco, vissuto con una dedizione che si fa insieme tenerezza e rispetto/promozione della libertà, cammino verso la pienezza della vita. Perché questo avvenga – e anche di questo siamo grati al magistero di papa Francesco – coloro che hanno il compito di pastori non possono non essere così attenti e presenti al gregge loro affidato da avere essi stessi “l’odore delle pecore”.