La sconvenienza del risparmio

In occasione della giornata mondiale del risparmio del 31 ottobre 2016 ospitiamo un articolo di Paola Villa, componente di direzione nazionale Acli, con delega al consumo.

 

 

 

Il denaro si è smaterializzato. È sempre meno un oggetto concreto. È sempre più difficile comprendere il suo rapporto con l’economia ed in fondo con la realtà. Il 31 ottobre è la giornata mondiale del risparmio. Non Halloween…

Adam Smith diceva che è il risparmio e la parsimonia a creare il capitale, più ancora dell’operosità. E Paperon de Paperoni raccontava sempre di come tutto sia partito con il primo cent. Oggi però la ricchezza è in mano a pochissimi. Il divario aumenta. La mobilità sociale è bloccata (se non in discesa, quando basta un inconveniente famigliare, lavorativo o di salute per perdere la stabilità a cadere nella povertà). Risparmiare, nella società dei consumi, sembra una scelta pragmaticamente non conveniente e persino moralmente sconveniente. Oppure il risparmio è anch’esso un prodotto commerciale da acquistare. Sarà per questo che la giornata del risparmio è rimasta appannaggio quasi solo di istituti di credito, assicurazioni e società finanziarie.

Ai tempi dei nostri nonni i primi salvadanai si regalavano a scuola, e con enfasi ed emozione si infilava tutti insieme la prima monetina. Oggi il 31 ottobre gli alunni sono alle prese con Halloween. Altro che risparmi, i bambini si allenano ad esorcizzare la paura di un futuro che nasconde solo mostri ed insidie.

Il nostro rapporto con il denaro ha bisogno di essere ripensato. Il denaro è scambio, relazione. Siamo immersi in relazioni di tipo commerciale per la maggior parte della nostra giornata. Non riusciamo più a distinguerle dalle altre. E il rischio di strumentalità dei rapporti personali è amplificato dal sistema reputazionale social. Il denaro è attribuzione di valore. C’è una prima ingiustizia nella disuguaglianza. Nel fatto che un dirigente o un calciatore guadagnino in modo sproporzionatamente superiore ad un lavoratore “normale”. Ma c’è una seconda ingiustizia, in fondo più grave, che consiste nell’indurre a pensare che essere pagato di più significhi valere di più. Di più come lavoratore. Di più come persona. Il denaro si è smaterializzato. È sempre meno un oggetto concreto. E si muove sempre più velocemente per il pianeta. È sempre più difficile comprendere il suo rapporto con l’economia ed in fondo con la realtà.

In questo quadro, non basta più educare alla scelta di risparmiare. Serve diffondere competenze articolate per un’azione che è diventata un mestiere complesso.

Perché nel tempo della precarietà il risparmio non è solo decidere di mettere da parte un tot al mese. È gestire le  uscite con entrate incerte in tempo e dimensione. È scegliere come, a fronte di una progressiva monetizzazione delle prestazioni, costruire, il proprio sistema pensionistico e quello di welfare. Come fosse un Lego, senza istruzioni, e senza nemmeno la certezza che ci siano tutti i pezzi.

Terminata l’epoca in cui mettere soldi da parte era comprare la casa e poi avere qualche Bot. In cui alla nascita dei figli si apriva un libretto alle poste. In cui la banca di zona era banca di fiducia…Oggi risparmiare significa capire come districarsi tra offerte di “investimenti sicuri e redditizi”, come ottenere prestiti senza lavori stabili, come evitare di finanziare produzioni di armi senza saperlo, come non cadere nella trappola del “sotto costo” ad ogni costo e del “le serve la ricevuta?”. Come riconoscere il confine di legalità tra cercare di pagare meno tasse ed evaderle.

E, fatte le debite proporzioni, questo vale per le scelte personali, per le imprese, per le realtà di terzo settore e pure per il Paese nel suo insieme…

Se don Milani fosse vivo direbbe che la grande opera di alfabetizzazione popolare necessaria oggi è quella finanziaria. L’educazione finanziaria è un pezzo di educazione civica. E non può essere né rimandata né subappaltata senza monitoraggio a soggetti che vogliono solo vendere il proprio prodotto. Famiglia, scuola, parrocchie, media, associazioni di società civile, istituzioni e persino imprese. C’è bisogno di una alleanza trasversale. Un impegno informativo e formativo diffuso e capillare. Un’opera di pedagogia popolare militante, potremmo dire anche in questo caso, mutuando Freire.

E poi c’è bisogno di ridisegnare il sistema in cui viviamo secondo un progetto di società differente, con al centro non singole funzioni (il lavoratore, il consumatore, il produttore, il migrante…) ma la persona in quanto tale, nella sua integrità.

Il quadro è ancora da costruire così come la strada per arrivarci. L’importante è iniziare a mettersi in moto. Anche a partire da ciò che già abbiamo sul tavolo. La tassa sulle transazioni finanziarie, una legge che stabilisca i criteri per definirsi banca etica, una maggiore trasparenza su chi finanzia la produzione di armi, la non promozione del gioco d’azzardo, la difesa dei beni comuni (a partire da acqua, terra, lavoro), la limitazione degli sprechi, l’incentivazione dei comportamenti virtuosi, la ricostruzione delle filiere, la valorizzazione del potere di scelta del consumatore… Il resto, se il movimento è onesto e collettivo, verrà da sé.