In Siria la storia bussa alla nostra porta e non possiamo fare finta di niente

A seguito dei tristi fatti di Berlino, ospitiamo l’intervento di Matteo Bracciali coordinatore nazionale Giovani delle Acli, con delega a Internazionale e Servizio civile

 

Mevlut Mert Altintas. Un nome che tra pochi mesi sarà dimenticato, probabilmente, archiviato come l’ennesimo prodotto della terza guerra mondiale, anche se ieri ha ucciso Andrei Karlov, il numero uno della diplomazia russa in Turchia. Proprio ad Ankara, dentro un luogo di cultura. “Noi moriamo ad Aleppo, tu muori qui”; il grido di rabbia e sangue che ha squarciato il silenzio assordante della comunità internazionale intorno a quello che sta succedendo in Siria.

Impossibile capire ancora chi sia il mandante ed è fin troppo facile fare delle ipotesi legate al contesto medio orientale: è davvero la voce dei ribelli? È un tentativo di destabilizzare le relazioni tra Turchia e Russia alleate contro le forze anti Assad, come ribadisce Erdogan in queste ore? Troppo presto per saperlo, troppo tardi per fare qualcosa. Troppo tardi anche perché in Siria, dopo 6 anni di guerra e gli innumerevoli comunicati di occupazione, liberazione, cessate il fuoco per Aleppo da parte delle parti in conflitto, non si vede una soluzione di stabilizzazione del Paese.

Nel frattempo, anche l’Onu ha deciso di rinunciare a dare i numeri delle persone che in questo conflitto hanno perso la vita. Secondo stime non ufficiali intorno a 500.000, un numero gigantesco che poi non tiene conto delle violenze subìte dalle popolazioni durante gli assedi. Ormai, l’assuefazione di noi occidentali alle cronache quotidiane dei conflitti mondiali è evidente e ci accorgiamo di essere vicini a quei popoli solo quando entrano nella nostra quotidianità. Come con i morti di Berlino di ieri sera o di Nizza o di Parigi o di Monaco. Il nostro senso di impotenza di fronte a quello che sta succedendo nel mondo ci sovrasta e ogni giorno ci svegliamo con venti di guerra che soffiano più forte.  

Contro l’indifferenza qualcosa possiamo fare: unirci all’appello che l’associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (Aoi) ha rivolto al Consiglio di Sicurezza e alle Istituzioni delle Nazioni Unite, alle istituzioni europee, al Governo Italiano. Nel testo si chiede la condanna dell’eccidio di Aleppo, il cessate il fuoco immediato ed il suo rispetto da parte di tutte le parti in conflitto, l’apertura di corridoi umanitari sicuri, l’apertura di una indagine indipendente sulle violazioni del diritto internazionale e sul destino delle persone scomparse. “La politica deve agire – si legge nel testo – noi soggetti sociali pretendiamo che le istituzioni nazionali, europee ed internazionali si esprimano con la condanna forte dell’eccidio in atto: lo abbiamo visivamente espresso con la grande marcia per la Pace di Assisi lo scorso 9 ottobre, lo ribadiamo oggi”.

Qui il testo integrale delle lettera