La via alla pace è politica

Anche quest’anno si riparte dalla pace. Un’iniziativa semplice, voluta da Paolo VI e giunta alla sua 50ma edizione, ci obbliga ogni anno ad aggiornare i linguaggi e a riflettere sul male politico della guerra. Quest’anno il titolo contiene almeno due parole che c’invitano a una sorpresa riflessione: la prima è nonviolenza, la seconda è politica.

La nonviolenza non appartiene al lessico abituale dei Papi e non attinge alle tradizionali categorie della Dottrina sociale. Anche solo prendendo due documenti fondamentali sulla pace, quali la Pacem in terris e il Primo messaggio per la giornata della pace, la parola neppure appare.

D’altra parte i riferimenti culturali che Francesco cita sono ancora più sorprendenti: dall’induista Gandhi al musulmano Khan Abdul Ghaffar Khan. Di più: la nonviolenza è addirittura assunta a stile ed è declinata in nonviolenza attiva. Pare ragionevole sostenere che la Chiesa riconosca lo spazio di realizzazione della pace all’incrocio tra più culture.

Allora il messaggio per la Giornata della pace diventa la dichiarazione di una disponibilità: come a dire, noi ci siamo e sappiamo che non dipende solo da noi, quindi siamo aperti al dialogo. Si conferma una visione dove la religione unisce e non divide, non provoca guerre sante.

Ma non solo di cultura vive la pace: il tono del messaggio è un elogio più o meno diretto alla politica – che segue quello strepitoso dell’Evangelii Gaudium, dove il Papa prega perché aumenti il numero dei politici (!) – e quindi alla responsabilità degli uomini e delle istituzioni.

È come ricordare che la pace non può rinviarsi solo all’educazione e alla religione. Non si può certo arretrare dalla linea educativa, anzi. Ma è evidente che il Papa, rivolgendosi particolarmente ai diplomatici (o formalmente ai diplomatici, per dialogare con altri), suggerisca di più: si osi portare la parola pace nel consesso della politica, dove il solo dirlo condanna il dichiarante alla censuratissima categoria del buonista.

Invece si può fare una politica per la pace (o per la violenza), passando da chiare (od oscure) proposte politiche che vanno dall’uso delle fonti energetiche mondiali fino alla gestione dei flussi migratori, dall’approvazione di proposte di legge sulla difesa civile alla realizzazione di un esercito europeo, come forza di pace (e pure come “arma” per unire gli europei).

Il tema di un esercito europeo non va derubricato a sola questione diplomatica: si apre a un grande dibattito pubblico che consente di ragionare su molte questioni politiche e valoriali.

Ed è proprio sul dibattito pubblico che si può confidare per rinnovare una politica e una cultura della pace, che rischia di essere bloccata da qualche incomprensibile spaccatura o da uno stile che non riesce ad essere popolare fino in fondo.

Ma dato che la tragedia di questi anni è la guerra, come si fa a non rilanciare la questione della pace?

Roberto Rossini