Non c’è fedeltà a Dio senza fedeltà all’Uomo

Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana

Il 20 gennaio del 1944 dal carcere di Tegel, dove era stato rinchiuso per aver partecipato al complotto per eliminare Adolf Hitler, il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer così scrisse: “Dio e la sua eternità devono essere amati da noi pienamente. Ma questo amore non deve nuocere a un amore terrestre, né affievolirlo”. Un anno dopo, la mattina del 9 aprile del 1945, Bonhoeffer venne impiccato a Flossemburg. Nella sua cella trovarono la Bibbia e Goethe. Il massimo dei libri sacri e il massimo dei libri profani. L’uno, della passione per il cielo; l’altro, della passione per la terra. Fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo.

Il Vangelo nel mondo

La spiritualità laicale parte da qui: dalla necessità di attraversare la “terra” con densità spirituale imparando a leggere – e accogliere – dentro la fatica dell’impegno nella storia le tracce di Dio. Con una consapevolezza: in questa ricerca (propria del cristiano in quanto tale prima ancora del “laico”) non ci sono scuole, ma frammenti. È significativo che, nel corso dei secoli, si siano scritte moltissime pagine di spiritualità rivolte quasi esclusivamente a coloro che per vocazione o per mestiere si occupavano di cose “del cielo” mentre poco sia stato fatto per sostenere i cammini feriali della maggioranza dei credenti. Oggi l’urgenza di pensare e di pensare il mondo anche in modo teologico è ancora maggiore perché, a differenza di ieri, il sacro e il profano sono saltati e improponibili sono i loro confini.

Aveva ragione Giovanni Bianchi quando scriveva che val la pena sottolineare ancora una volta quanto laicità e cristianesimo si tengano. I martiri fin dall’inizio, furono tragica testimonianza di laicità, massacrati perché antiidolatrici. E fummo ritenuti atei (laici) prima d’esser chiamati cristiani in Antiochia. Il lavoro teologico fu ed è affare anzitutto di laici, malamente e indebitamente clericalizzato da un cattolicesimo controriformisticamente sospettoso.

Insomma, non credo che abbiamo bisogno di stampelle teologiche ed ascesi e ginnastiche spirituali. C’è bisogno, piuttosto, di una riflessione spirituale sulle esperienze che facciamo. Questo dovrebbe essere oggi l’impegno dei laici.

Martin Buber e il sogno del rabbino

Ne “Il cammino dell’uomo”, Martin Buber presenta una serie di racconti chassidici, presi dalla ricca spiritualità ebraica che il filosofo viennese ha contribuito a diffondere. Uno di questo, raccontato spesso ai suoi giovani allievi da Rabbi Bunam, è la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia, uomo molto povero, ma ricco di fiducia in Dio. Eisik fece per ben tre volte un sogno durante il quale ricevette l’ordine di recarsi a Praga per cercare un tesoro che si trovava sotto il ponte che conduceva a Palazzo Reale. Dopo il terzo sogno, Rabbi Eisik ruppe gli indugi e, a piedi, raggiunse Praga ed il ponte sotto il quale avrebbe dovuto trovare il tesoro, ma essendo il ponte sorvegliato non ebbe il coraggio di mettersi a scavare nel luogo che in sogno gli era stato indicato. Tuttavia non desistette: ogni mattina tornava sul ponte e vi rimaneva fino alla sera. Alla fine, il capitano delle guardie, insospettito, gli si avvicinò e gli chiese ragione del suo andirivieni. Eisik, allora, raccontò il sogno che lo aveva indotto a raggiungere Praga. Al sentire il racconto, il capitano delle guardie si mise a ridere fragorosamente e gli disse: “Stai fresco a fidarti dei sogni! Anch’io ne ho fatto uno simile. Avrei dovuto andare a Cracovia, a casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufa. Ma come fare? A Cracovia metà degli ebrei si chiamano Eisik, l’altra metà Jekel. Avrei dovuto mettere a soqquadro tutte le case….” Eisik capì, salutò e tornò a Cracovia, dove finalmente trovò il tesoro del sogno.

La Chiesa o è umana o non è

Come a dire: il “compimento dell’esistenza – così lo chiama Buber – è il luogo dove ci si trova, la vita che si compie, la casa dove si abita, la sessualità che si vive, il lavoro dove si cresce. In tutto questo, Dio c’è, l’uomo anche. Dare senso ultimo alle realtà di ogni giorno e dare “corpo” al soffio dello spirito è il compito che i laici sono chiamati a fare. E’ in gioco la fedeltà al nostro Dio di carne. E’ sotto gli occhi di tutti la fatica, della Chiesa, a dare, nella sostanza e senza retorica, dignità all’attività umana: all’amore e alla socialità, al lavoro e all’impegno. Manca un ethos ecclesiale capace di riesprimere l’evangelo come buona notizia che attraversa l’uomo nella ferialità – e nella carnalità – della sua esperienza.  Sarebbe ora di cominciare.

Se ci pensiamo bene, la Chiesa non esiste se non in relazione all’umanità – i cui perimetri grazie a Dio sono molto più estesi di quanto crediamo –  cui la sua testimonianza è destinata.