Roma, i giovani scelgono il lavoro senza diritti

Il 65% dei giovani romani è pronto a rinunciare a contratti regolari e diritti pur di lavorare. Il dato emerge dalla ricerca “Avere 20 anni, pensare al futuro” presentato il 3 ottobre a Roma dalle Acli, dalla Cisl di Roma capitale e Rieti e realizzata dall’Iref su un campione di oltre 1000 giovani con un’età compresa fra i 16 e i 29 anni all’interno del progetto nell’ambito del progetto “Job to Go, il lavoro svolta!”.

Nati e cresciuti con la crisi economica, molti giovani romani pur di lavorare sono disposti a rinunciare anche a diritti fondamentali: il 28,2% direbbe addio ai giorni di malattia, il 26,6% alle ferie, l’11,1% alla maternità.
Il 30,3%, poi, non avrebbe difficoltà ad accettare un impiego che non corrisponda al proprio corso di studi.

Secondo i giovani uno dei problemi viene dalla scuola: oltre il 46% è in disaccordo sul fatto che la scuola fornisca strumenti per inserirsi nel mondo del lavoro, per il 57,1% sarebbe necessario incentivare le forme di alternanza tra scuola e lavoro e per il 39,6% bisognerebbe coinvolgere le imprese nella definizione di programmi d’istruzione.

“Proprio uno dei mali del mercato del lavoro – ha commentato Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli durante la presentazione della ricerca – è l’incoerenza tra corso di studi e professione. Questa ricerca dimostra che i centri per l’impiego hanno fallito”.

Dalla ricerca emerge anche un altro aspetto: il legame determinante tra lavoro e futuro. Il 77,6% degli intervistati si dichiara molto d’accordo nel riconoscere la necessità di un lavoro stabile per mettere su famiglia.

In merito a quali siano gli ambiti di intervento suggeriti dai giovani romani per supportare i progetti familiari, si delineano due posizioni: una maggioritaria che vede nel lavoro (65,9%) e nella casa (10,1%) i settori dove concentrare gli interventi; l’altra, abbracciata da circa un intervistato su quattro, che propone di intervenire su servizi per le famiglie (12%) e credito (12%).

“Questi dati – ha dichiarato Lidia Borzì, presidente delle Acli di Roma – pesano come macigni e rappresentano un campanello d’allarme importante. Alla luce di quanto emerso, il nostro compito è quello di contribuire a cambiare questa prospettiva, attraverso fatti concreti e processi condivisi che vedano i giovani coinvolti in prima persona”.