Sabato Santo

Sabato – 15 aprile 2017 – Anno A
Parola del giorno: Rm 6,3-11; Sal 117; Mt 28,1-10

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA NOTTE DEL SABATO SANTO
a cura di don Domenico Ricca, accompagnatore spirituale Acli Torino

La Veglia pasquale è l’approdo di tutto il cammino della Quaresima e del Triduo, sintesi celebrativa del cristianesimo in tutti i suoi aspetti. I riti della Veglia pasquale evidenziano maggiormente le diverse dimensioni del cristianesimo: la creazione, la storicità, la scelta di vita, la dimensione sacramentale.

La Pasqua attraversa il tempo così da renderlo tempo di salvezza e trasformare la semplice storia in storia della salvezza. La Pasqua cambia la vita e diventa forma di una scelta. I sacramenti dell’iniziazione esprimono il dono e l’impegno di vivere la Pasqua in tutta l’esistenza.

La pienezza del tempo

Il mistero pasquale è il compimento del tempo e per questo motivo è l’esperienza di un tempo trasformato. Per rendere la trasformazione che la risurrezione genera nel tempo possiamo pensare all’esperienza della musica che nella sua essenza è in fin dei conti un tempo trasformato.

La liturgia della luce con la quale inizia la Veglia insieme alla ricca liturgia della Parola intrecciano in modo forte la dimensione del tempo. L’anno corrente viene scritto nel cero, le parole del rito parlano del Signore del tempo e della storia. L’annuncio pasquale rende tutti consapevoli che «questa notte», «oggi», è il tempo della salvezza. Il cristianesimo è un modo particolare di vivere il tempo, inaugurato e reso possibile dall’incarnazione e dal mistero pasquale di crocifissione, morte e risurrezione di Gesù.

Il tempo «sa» di eternità perché è stato trasformato dal passaggio del Cristo. La parola Pasqua significa, infatti, passaggio. Potremmo dire che la forma del tempo è il sorpasso: quello della memoria e quello dell’attesa che nascono dal presente. Rileggere la Veglia pasquale e la realtà della risurrezione attraverso il sentiero del tempo significa proporre una piccola mistagogia al silenzio.
Il passato e il futuro, infatti, sono presenti nel mio «presente», ma in modo discreto, silenzioso appunto. Il presente ascolta una parola, quella del passato e del futuro. Soprattutto la parola del futuro è silenzio perché si tratta di ascoltare il rendersi presente del futuro.

Il corpo del Risorto ha le ferite della passione (passato) e la luce della gloria (futuro). Il silenzio nel tempo è il modo di vivere il nostro tempo come un tempo di salvezza nella riconciliazione con il passato e nell’attesa fiduciosa dell’avvenire.

La dimensione del tempo è fortemente presente nel magistero di Papa Francesco laddove (26 novembre 2013) affermava: “Possiamo definirci padroni del momento ma non del tempo, il tempo è di Dio… Non bisogna lasciarsi ingannare nel momento, perché ci sarà chi approfitterà della confusione per presentarsi come Cristo. “E il cristiano è un uomo o una donna che sa vivere nel momento e che sa vivere nel tempo. Il momento è quello che noi abbiamo in mano adesso: ma questo non è il tempo, questo passa! Forse noi possiamo sentirci padroni del momento, ma l’inganno è crederci padroni del tempo: il tempo non è nostro, il tempo è di Dio! Il momento è nelle nostre mani e anche nella nostra libertà di come prenderlo. E di più: noi possiamo diventare sovrani del momento, ma del tempo soltanto c’è un sovrano, un solo Signore, Gesù Cristo. Il cristiano sa aspettare il Signore in ogni momento, ma spera nel Signore alla fine dei tempi. Uomo e donna di momento e di tempo: di preghiera e discernimento, e di speranza. Ci dia il Signore la grazia di camminare con la saggezza, che anche è un dono di Lui: la saggezza che nel momento ci porti a pregare e discernere. E nel tempo, che è il messaggero di Dio, ci faccia vivere con speranza”.
Come non rimandare a quell’affermazione dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium: “Il tempo è superiore allo spazio” (nn. 222-225)?

Il corpo

Il corpo della Pasqua è un’espressione insolita per dire la logica sacramentale della vita cristiana e del cristianesimo stesso. In estrema sintesi possiamo dire che la rivelazione è il corpo dell’esperienza e l’esperienza è il corpo della rivelazione. È impossibile incontrare il Risorto senza il corpo. Il corpo di Dio, cioè l’incarnazione e la risurrezione, sono la forma della rivelazione. Una rilettura «corporea» della Pasqua aiuta a dare una rilevanza esistenziale ai misteri celebrati e ad unire l’azione rituale liturgica con la vita quotidiana.

Utilizziamo l’espressione «corpo di Cristo» per dire tre cose diverse e allo stesso tempo uguali: la vita fisica di Gesù, l’eucaristia e la Chiesa.

È la Pasqua a far nascere questa corporeità cristiana: quella del Verbo fatto carne, quella del pane condiviso e quella di una comunità in cui abita lo Spirito del Cristo. Ugualmente l’espressione «corpo di Cristo» unisce in modo indissolubile l’esteriorità-visibile (Gesù, pane, persone) con l’interiorità-invisibile dello Spirito.

Il corpo ci accompagna nel tempo e ci testimonia continuamente la differenza nel tempo, cioè tra il passato e il futuro. Il corpo è aperto al futuro soprattutto perché è aperto alla novità. Noi entriamo nel corpo della Pasqua attraverso l’esperienza corporea che viviamo nei sacramenti: l’acqua del battesimo, il crisma della cresima, il pane dell’eucaristia. Essere lavati, essere unti, essere nutriti: questo è il corpo di Cristo, il corpo della Pasqua. Vivere la Pasqua significa accogliere un’acqua che ci rigenera, un olio che ci protegge, un cibo che ci nutre.

La Veglia pasquale è la celebrazione liturgica nella quale, più che in ogni altra liturgia, emerge la dimensione cosmica della preghiera cristiana.

Anche la recente enciclica di Papa Francesco Laudato si’ (24 maggio 2015) invita, in particolare nel cap. 6, a un’educazione e spiritualità ecologica.
“Molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione. La situazione attuale del mondo «provoca un senso di precarietà e di insicurezza, che a sua volta favorisce forme di egoismo collettivo». Quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non esiste nemmeno un vero bene comune. Se tale è il tipo di soggetto che tende a predominare in una società, le norme saranno rispettate solo nella misura in cui non contraddicano le proprie necessità. Perciò non pensiamo solo alla possibilità di terribili fenomeni climatici o grandi disastri naturali, ma anche a catastrofi derivate da crisi sociali, perché l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca”.

Il Papa ci esortava infine “E’ sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da sé stessi verso l’altro. Senza di essa non si riconoscono le altre creature nel loro valore proprio, non interessa prendersi cura di qualcosa a vantaggio degli altri, manca la capacità di porsi dei limiti per evitare la sofferenza o il degrado di ciò che ci circonda. … Quando siamo capaci di superare l’individualismo, si può effettivamente produrre uno stile di vita alternativo e diventa possibile un cambiamento rilevante nella società”.

(Commento liberamente tratto da Servizio della Parola n. 485/2017 – ed. Queriniana Brescia 2017)