Un Santo contro le idolatrie: Arnulfo Romero

Archbishop Oscar Romero of El Salvador (shown in 1977) was gunned down in a church in San Salvador in 1980 after criticizing a government crackdown. He had been celebrating Mass at the time.

Óscar Arnulfo Romero y Galdámez (15 agosto 1917 – 24 marzo 1980)

 

Oscar Romero ha sempre sottolineato la necessità di rendere vera la fede e la testimonianza sino al dono della vita nel martirio da lui avvertito come possibile dalla molte minacce che riceveva e che non facevano però venir meno la sua lucida e radicale testimonianza del Vangelo della libertà e della giustizia. Seguire Gesù è necessario perché  Lui è stato anche storicamente il modello umano del vero e autentico Liberatore.

E’ questa speranza proveniente dal Cristo vivente in eterno nella storia a dare la forza profetica a Romero e a tutta la Chiesa, di denunciare le  idolatrie del suo tempo, che sono  anche del nostro, quella del potere fine a se stesso, del denaro, della assolutizzazione dei beni privati, divenuti idoli intoccabili e per difendere i quali non si è esitato a perseguitare ed uccidere.

Ritroviamo in questa prospettiva alcuni brani delle omelie di Romero di grande forza e coraggio, di grande lucidità e radicalità evangelica.

Commentando il brano del Libro dell’Esodo, riguardo all’episodio del vitello d’oro l’ 11 settembre 1977:
“Cosa diventa la ricchezza quando non è pensata secondo Dio? Un idolo di oro, un vitello d’oro che viene adorato, davanti al quale ci si prostra e si offrono sacrifici. Che sacrifici enormi si fanno davanti a questa idolatria del denaro: non solo sacrifici ma iniquità. Si paga per uccidere, si paga il peccato e lo si vende, tutto si commercializza, tutto è lecito per denaro. E proclamano: “ questo è il tuo Dio, Israele, che ti ha fatto uscire dall’Egitto. Non devi tener conto di questa religione falsa. Essa turba la nostra tranquillità. E’ comunista, ha sviato dalla sua missione che doveva predicarci una spiritualità che tranquillizza, che ci addormenti nella felicità dorata”. Così l’idolatria del denaro, denunciata dalla stessa parola di Dio, irrita, poiché Dio è geloso “non avrai altri dei al di fuori di me”. E’ perché la Chiesa desidera rimanere fedele  al suo unico Dio e parla come Mosè contro i falsi idoli che gli uomini stanno idolatrando che deve soffrire. La sua missione profetica è dolorosa però necessaria…..Cari fratelli, mai abbiamo predicato con risentimento o odio. Stiamo predicando con pena, amore e dolore, perché l’idolatria del denaro porta alla perdizione molti nostri fratelli e perché il cuore umano si è indurito. Lo stesso Signor presidente ha detto “E’ necessario umanizzare il capitale”. E’ necessario umanizzarlo, perché il capitale  visto nella logica del brano dell’Esodo che oggi è stato letto, convertito in un vitello d’oro schiavizza l’uomo”.

Romero mostra una profonda conoscenza biblica e soprattutto attualizza sempre il rischio presente in ogni tempo di pervertire le cose e farle diventare idoli esigenti che chiedono addirittura sacrifici umani per rimanere tali. Egli però indica sempre la radice profonda di ogni idolatria, ovvero il rifiuto di Dio e dei fratelli che si storicizza in sfruttamento e violenza.
“Non usiamo, cari capitalisti, la idolatria del denaro, il potere del denaro per sfruttare l’uomo più povero. Voi potete far tanto felice il nostro popolo se aveste un poco di amore nel vostro cuore. Che strumento di Dio potrebbero essere le vostre casseforti piene di denaro, i vostri conti bancari, le vostre fattorie, i vostri terreni, se li usaste non per l’egoismo ma per far felice questo popolo tanto affamato, tanto in necessità, tanto denutrito…..Questa non è demagogia per ottenere applausi, è ciò che il popolo sente e ama;  ama anche quelli che lo frustano, che lo sfruttano. Il nostro popolo salvadoregno non è fatto per l’odio, è fatto per la collaborazione, per l’amore e desidera incontrare fraternamente tutti i settori che costituiscono un popolo tanto benedetto da Dio, che ha ricevuto da li benti tanto abbondanti ma che però sono causa di tristezza per la cattiva distribuzione, per il peccato degli uomini”.
Non teme di chiamare in causa coloro che provocano tanta sofferenza ed ingiustizia, facendo emergere la qualità buona del popolo semplice salvadoregno, disposto sempre al perdono e alla riconciliazione se trova la disponibilità dei potenti e dei forti.

Questo purtroppo non avverrà e Romero cadrà propria vittima di coloro che egli invitata a farsi carico fraternamente dei poveri e dei soffrenti.

Certo le sue denunce non sono mai diminuite, anzi, più il clamore del popolo veniva soffocato nel sangue, più la sua voce diventava la sola voce che gridava in nome di Dio per ottenere il rispetto sacrosanto della dignità umana.

Nell’omelia del  12 agosto 1979, annuncia la pubblicazione della sua quarta Lettera Pastorale Missione della Chiesa in mezzo alla crisi del Paese: spiega che in questo documento egli ha voluto denunciare le assolutizzazioni presenti in El Salvador:
“Denuncio soprattutto l’assolutizzazione della ricchezza. Questo è il grande male di El Salvador: la ricchezza, la proprietà privata come un assoluto intoccabile, e guai, chi tocca questo filo dell’alta tensione, si brucia. Si dimentica……..che l’assolutizzazione della ricchezza e della proprietà privata è un grande errore. “La proprietà privata la rispettiamo – dice il Papa – però non si deve dimenticare che su tutta la proprietà privata grava un’ipoteca sociale” Cosa vuol dire il Papa? Prendendo spunto dalla tradizione, la proprietà privata non è un assoluto, ha dei condizionamenti  che la nostra Costituzione politica di El Salvador riconosce quando dice “….La proprietà privata con funzione sociale”. Ciò che si possiede non è solo per se stessi, ma è un dono di Dio perché venga amministrato al servizio del bene comune. Non è giusto che pochi abbiano tutto e lo assolutizzino in tal modo che nessuno possa toccarlo, e la maggioranza emarginata muoia intanto di fame”.
Romero stigmatizza poi anche l’idolatria del potere:
“Altra assolutizzazione degli uomini che hanno perduto la fede in Cristo è l’assolutizzazione del potere. Si giunge alla filosofia della sicurezza nazionale permettendo tutto in nome del dio del potere. “Risulta ridicolo – scrivo nella mia Lettera Pastorale-  che in nome della sicurezza nazionale si sia installata  nel popolo una grande insicurezza”. Questa assolutizzazione del potere è male perché il potere non è Dio; il potere non è Cristo, e se tutto si subordina al potere, ogni opinione, ogni espressione che voglia criticare e migliorare le cose, viene repressa. E questa è la repressione presente nel nostro paese, conseguenza della assolutizzazione del potere”.
Egli però non si ferma in questa denuncia, e la domenica 26 agosto torna sulla tematica, commentando il brano del Libro di Giosuè al capitolo 24, ove il condottiero biblico invita il popolo a temere il Signore e ad eliminare gli dei che i loro padri hanno servito in Egitto:
“Si sta denunciando l’esistenza del secolarismo. Chi adora un idolo è un ateo che rifiuta il vero Dio, è un seguace del secolarismo, è chiuso alla trascendenza del vero Dio. L’idolatria non è eredità di quei secoli,  anche nel nostro tempo  esistono idolatrie. Giosuè potrebbe porle ai salvadoregni, alla società salvadoregna e dire loro: “Esistono molti idoli in questa patria, idolo del denaro, idolo della politica, idolo dell’organizzazione, idolo carne, vizio, piacere, droga; quanti idoli! Se voi volete essere veri cristiani dite se volete adorare il vero Dio”. Non esiste che un Dio  e si deve smettere di adorare questi falsi idoli. E poiché la Chiesa come Giosuè proclama l’esistenza di un unico Signore, chi adora gli idoli si inquieta e non vuole che venga disturbata la falsa adorazione, però la Chiesa non compirebbe il suo dovere se solidarizzasse con le idolatrie e non indicasse al popolo che desidera essere fedele al Vangelo, che non esiste che un solo Signore,  che Lui solo si deve servire. E lo adoriamo perché è il Signore che sta salvando la nostra patria”.
Più la situazione si aggrava e la repressione diviene di una brutale violenza, più Romero insiste sulla necessità di combattere l’idolatria peccaminosa e perversa che è all’origine di tanta ingiustizia e oppressione.

La sua denuncia del male dell’idolatria continua con grande vigore e lucidità evangelica.

Nell’omelia del 24 febbraio 1980, prima domenica di Quaresima, commentando il brano delle tentazioni di Gesù (Luca 4, 1-13), ad un mese esatto del suo martirio, affermava:
“Cristo ha fame nel deserto però non si è fatto vincere dall’idolatria del potere. Che lezione tremenda ed attuale per il nostro tempo! Per quale motivo si distruggono gli uomini in El Salvador? Per il potere? Non dice il diavolo che il potere gli appartiene e che è facile ottenerlo prostrandosi in ginocchio davanti a lui? Però il progetto di Dio è NO all’idolatria. Nella mia quarta Lettera Pastorale dico che uno dei servizi che la Chiesa sta prestando al mondo è quello di smascherare le idolatrie; quella della denaro, del potere, la pretesa di tenere gli uomini inginocchiati davanti a questi falsi idoli. La verità è che il progetto di Dio è “adorerai il Signore Dio tuo”. Questa è la vera soluzione. La vera liberazione del nostro popolo è insegnare agli uomini che esiste una lotta tra i facili  poteri della terra a partire dai quali si sopprimono tanto la dignità dell’uomo quanto i diritti umani e si vanno stabilendo sistemi politici che stanno addormentando le coscienze dei potenti. Guai ai potenti quando non tengono conto del potere di Dio, l’unico potente, quando si tratta di torturare, di uccidere, di massacrare per sottomettere gli uomini al potere. Che tremenda idolatria che si sta offendo al Dio potere, al Dio denaro! Quante vittime, quanto sangue; ma  Dio, il vero Dio, autore della vita degli uomini chiederà conto delle loro azioni,  a  caro prezzo, a questi idolatri del potere”.
Romero non smette di insistere sulla  necessità di una conversione delle realtà che tocchi strutture e persone per  superare l’idolatria che apporta ingiustizia e morte.

Nell’ultima lunga omelia, una sorta di testamento, il 23 marzo 1980, quarta domenica di Quaresima, il giorno prima di essere trucidato, ritorna su queste tematiche in modo incisivo.

Commentando  l’episodio del Vangelo di Giovanni, quello dell’adultera ( Gv 8,1-11), Romero richiama di nuovo la necessità della conversione dal peccato personale per ottenere trasformazioni strutturali davvero umanizzanti e giuste.

Ed infine,  dopo aver elencato di nuovo fatti tremendamente tragici della settimana conclude col famoso richiamo agli uomini dell’esercito, alla guardia nazionale, alla polizia:
“Fratelli, siete del nostro stesso popolo, perché uccidete i vostri fratelli contadini? Davanti all’ordine di uccidere che dà un uomo, deve prevalere la legge di Dio che dice: NON UCCIDERE…. Nessun soldato è obbligato ad obbedire ad un ordine contro la Legge di Dio. Una legge immorale non deve essere osservata…. E’ tempo di recuperare la vostra coscienza e di obbedire anzitutto alla vostra coscienza e non all’ordine del peccato… La Chiesa  che difende i diritti di Dio, della Legge di Dio, la dignità umana, non può restare muta davanti a tanta ignominia. Volgiamo che il Governo capisca che non valgono nulla le riforme  se sono bagnate di tanto sangue….In nome di Dio, dunque ed in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorno più tumultuosi, vi supplico, vi scongiuro, vi ordino in nome di Dio: fermate la repressione! La Chiesa predica la sua liberazione, come abbiamo compreso oggi nella Sacra Bibbia. Una liberazione che mette sopra di tutto il rispetto della dignità della persona, la salvezza del bene comune del popolo e la trascendenza che guarda anzitutto a Dio e solo in Dio, poiché solo da Dio deriva la sua speranza e la sua forza”.
Questa sequela del Cristo in chiave anti-idolatrica, evangelicamente ispirata e nutrita, porterà i giorno successivo Romero al martirio, durante la celebrazione dell’Eucaristia nella Cappella dell’Hospital de La  Divina Providencia, quando egli  ricordava il primo anniversario di morte della signora Sara de Pinto.

Possiamo ascoltare le  ultime parole di quella ultima omelia;  precedettero di pochi minuti gli spari durante l’Offertorio:
“Questa Eucaristia, è precisamente un atto di fede. Nella fede cristiana pare che in questo momento la voce delle contese si trasformi nel corpo del Signore che si offrì per la redenzione del mondo, ed  in questo calice del vino, si trasforma nel sangue che fu prezzo della nostra salvezza. Che questo Corpo immolato e questo Sangue Sacrificato per gli uomini, ci alimenti anche per dare il nostro corpo e il nostro sangue nella sofferenza e nel dolore, come Cristo, non per noi stessi, ma per contribuire  alla giustizia e alla pace al nostro popolo”.
Qualche istante dopo, i colpi di fucile sparati dal fondo della cappella, unirono definitivamente Romero a Cristo crocifisso e risorto.