Vota con il portafoglio contro il mondo ingiusto. Una provocazione ma non solo

Old empty wallet in the hands .Vintage empty purse in hands of women . Poverty concept, Retirement. Special toning

“Vota con il portafoglio”, cosi sostiene da anni Leonardo Becchetti, docente di Economia Politica presso l’università di Roma “Tor Vergata”, editorialista di Avvenire e autore del blog (da tenere d’occhio) su Repubblica.it La felicità sostenibile (http://felicita-sostenibile.blogautore.repubblica.it/).

 

Costruire un sistema economico nuovo. Dal basso e insieme

Come molti altri economisti, Becchetti sostiene che tanti problemi del nostro tempo sono dovuti, ad un sistema economico sbagliato. La soluzione è creare un nuovo modello economico sostenibile, inclusivo e partecipato. Ma l’unico modo per farlo è costruirlo dal basso, insieme. Ecco allora la proposta del “voto con il portafoglio”: diventare consumatori responsabili, consapevoli del nostro ruolo e del potere di premiare con i nostri acquisti le aziende che fanno profitto nel rispetto dei lavoratori, dei clienti e dell’ambiente. È il potere di valutare e scegliere le aziende leader nella sostenibilità sociale, ambientale e fiscale. Secondo Becchetti, intervenuto anche alla Settimana Sociale dei cattolici italiani di Cagliari – il voto con in portafoglio esprime la sovranità del consumatore ed è la vera urna elettorale, la scelta politica più importante che ciascuno di noi possiede. Perché – è la tesi di Becchetti – “il mercato siamo noi”. Al punto che sempre più aziende, preoccupate e consapevoli del potere dei consumatori, esibiscono le loro scelte virtuose in ordine al valore economico socialmente ed ambientalmente sostenibile.

 

Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri

Penso a tutte queste cose mentre scorro il Rapporto pubblicato da Oxfam, l’ONG britannica, alla vigilia del Forum economico mondiale di Davos svoltosi poche settimane fa. Il titolo è eloquente: “Ricompensare il lavoro, non la ricchezza”. Il contenuto fa impressione: siamo in un mondo in cui ogni due giorni appare un miliardario. E dove, allo stesso tempo, 789 milioni di persone si trovano in «povertà estrema». Dove l’1% più ricco della popolazione si è accaparrato in un anno l’82% dell’incremento della ricchezza netta, contro i 3,7 miliardi di persone più povere, a cui non è arrivato neppure un centesimo (dati marzo 2016-marzo 2017). Una fotografia sulla disuguaglianza che sottolinea come la ricchezza dei miliardari – legata più a posizioni di rendita che alla fatica del proprio lavoro – sia aumentata del 13% l’anno tra il 2006 e il 2015. Sei volte più in fretta di quanto siano cresciuti i salari dei lavoratori qualunque. Lo studio indaga le origini della povertà e della ricchezza. E fa luce sulle vittime e su chi guadagna dall’attuale sistema economico. Un documento importante, che sin dalle sue prime battute riassume la nostra società in modo lapidario:

Il lavoro pericoloso e scarsamente pagato della maggioranza della popolazione mondiale alimenta l’estrema ricchezza di pochi. Le condizioni di lavoro peggiori spettano alle donne, e quasi tutti i super ricchi sono uomini.

Miliardari sempre più ricchi. E sempre più uomini

Il rapporto offre uno spaccato interessante sui Paperoni. Al momento se ne contano 2.043, di cui 9 su 10 uomini. L’aumento della loro ricchezza nell’ultimo anno, giusto per dare un’idea, è pari a sette volte la quantità di denaro necessaria a far uscire 789 milioni di persone dalla povertà estrema. Tanti numeri, che suonano come pugni in faccia alla decenza.

In base ai nuovi dati forniti da Crédit Suisse, attualmente 42 persone possiedono la stessa ricchezza dei 3,7 miliardi di persone meno abbienti

si legge nel documento di Oxfam. E ancora: appena 61 persone possiedono la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale. In altre parole, «l’1% più ricco continua a possedere più ricchezze di tutto il resto dell’umanità».

 

E l’Italia?

Non pensiamo che tutto questo non riguardi l’Italia. Il nostro Paese infatti è parte integrante della fotografia mondiale che vede contrasti. La ricchezza, anche dalle nostre parti, è sempre più concentrata in poche mani. A metà 2017 il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale netta, il successivo 20% ne controllava il 18,8%, lasciando al 60% più povero appena il 14,8% della ricchezza nazionale. In Italia – è un’altro dei dati allarmanti – la quota di ricchezza dell’1% più ricco degli italiani supera di 240 volte quella detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione. Il divario, poi, cresce. Nel periodo 2006-2016 la quota di reddito nazionale disponibile lordo del 10% più povero degli italiani è diminuita del 28%, mentre oltre il 40% dell’incremento di reddito complessivo registrato nello stesso periodo è andato al 20% dei percettori di reddito più elevato. Così nel 2016 – gli ultimi dati confrontabili disponibili – l’Italia occupava la ventesima posizione su 28 paesi Ue per la disuguaglianza di reddito disponibile.

 

4 dollari per 14 ore al giorno di lavoro

L’indice di Oxfam, in quest’ultimo rapporto, è puntato sul lavoro, sempre più sotto-retribuito e precario, pieno di abusi e rischi. Eppure fonte, per chi lo gestisce, di enormi guadagni. Il settore dell’abbigliamento è tra i più redditizi. I dividendi azionari versati da Zara ad Amancio Ortega nel 2016, ad esempio, sono pari a 1,3 miliardi di euro. Eppure, ricordano i ricercatori, “a livello di Parlamento Europeo, il gruppo Verdi/Alleanza Libera Europea ha denunciato che tra il 2011 e il 2014 Zara ha aggirato il fisco”. Oppure, ancora, Stefan Persson, figlio dell’uomo che ha fondato H&M, ha goduto l’anno scorso di 658 milioni di euro di dividendi. Oxfam riassume la situazione così: “Nel 2016 le cinque maggiori aziende di moda hanno versato complessivamente ai propri azionisti la cifra sbalorditiva di 6,9 miliardi di dollari”. Nel tessile si annidano tuttavia anche grandi contraddizioni. Dopo aver dichiarato gli enormi profitti delle aziende, infatti, si sottolinea:

Le giovani lavoratrici in Paesi come il Myanmar guadagnano la misera cifra di $ 4 al giorno, lavorando 14 ore in condizioni pericolose e senza poter andare alla toilette, per cucire capi di fast fashion destinati all’esportazione. E ancora: In Vietnam, per aumentare i salari di tutti i 2,5 milioni di lavoratori del settore dell’abbigliamento dall’attuale livello medio a quello di salario dignitoso sarebbero necessari 2,2 miliardi di dollari all’anno: esattamente un terzo della somma versata ai propri azionisti dalle cinque principali aziende del settore nel 2016. Insomma, “l’odierna “economia dell’1%” grava sulle spalle di lavoratori mal pagati, spesso donne, che ricevono salari di sussistenza e sono privati dei diritti fondamentali”.

Cosa possiamo fare?

Leggendo il Rapporto viene in mente il principio più volte sollecitato da don Lorenzo Milani: quello della responsabilità in solido. Che vale in ogni momento della nostra vita collettiva. Il rischio di renderci complici di situazioni intollerabili, infatti, sussiste anche nella vita quotidiana. Ogni volta che decidiamo che banca usare o a quale supermercato andare. Oramai sappiamo da tempo che dietro ai nostri consumi si possono nascondere sfruttamento del lavoro, violazione dei diritti umani, degrado dell’ambiente. Quanto più compriamo alla cieca o scegliamo la nostra banca solo in base al tasso di interesse, tanto più rischiamo di sostenere pratiche inaccettabili. Se invece ci informiamo prima di agire e ci comportiamo secondo criteri sociali e ambientali, possiamo spingere le imprese verso un’altra economia. Un mondo come quello disegnato dal Rapporto Oxfam è un mondo ingiusto. Noi lo accettiamo? Se non lo accettiamo, cosa facciamo per renderlo migliore?