Domenica 3 febbraio 2019

Dal vangelo secondo Luca (Lc 4,21-30)
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Gesù come Elia ed Eliseo è mandato non per i soli Giudei.

A cura di don Roberto Fiorini, accompagnatore spirituale Acli Mantova

Per comprendere il testo evangelico di questa domenica ritengo utile un accenno all’immediato contesto letterario. Nel battesimo di Gesù si narra la discesa dello Spirito Santo e la voce dal cielo: «Tu sei il mio Figlio diletto, in te mi sono compiaciuto». Segue la presentazione della genealogia di Gesù che risale sino ad Adamo chiamato «figlio di Dio». Un abbraccio che include tutta l’umanità. Poi «Gesù, pieno di Spirito Santo fu condotto dallo Spirito nel deserto». Le tentazioni demoniache iniziano con le parole: «se tu sei figlio di Dio…» con il rifiuto di Gesù di interpretare la propria vita in termini di potere a proprio vantaggio. Torna in Galilea “con la potenza dello Spirito” e inizia la sua missione insegnando nelle sinagoghe.

E veniamo alla narrazione del suo ritorno a Nazareth. La prima parte l’abbiamo ascoltata domenica scorsa. Si alza nella Sinagoga e dal rotolo di Isaia sceglie il passo che dice: «Lo Spirito del Signore è sopra di me…» ed enuncia l’adempimento della scrittura nella sua persona che agisce a favore dei poveri, dei prigionieri, ai quali annuncia la liberazione, dei ciechi, degli oppressi, da rimettere in libertà… «È veramente il “Manifesto” di Gesù: la salvezza promessa di Dio è oggi presente nella sua persona» (Fabris). Nel suo «oggi» avviene l’oggi di Dio che si adempie in Lui e che permane oltre la sua vicenda storica come Luca narrerà negli Atti degli Apostoli, per l’azione dello stesso Spirito del Signore.

Ma ecco la domanda che sorge dagli ascoltatori: «non è Costui il figlio di Giuseppe?». Loro lo conoscono bene, l’avevano visto crescere in quella sua esistenza normale e quotidiana, durata tanti anni. Più o meno i nove decimi della sua vita. Luca sottolinea la meraviglia diffusa dinanzi alle sue parole. A tutta prima parrebbe un’accoglienza buona. Ma come mettere insieme la novità assoluta che Lui testimonia, e il loro mondo, gli schemi familiari, le relazioni tra compaesani, gli interessi comuni, la loro stessa vita religiosa, visto che si era nel culto della sinagoga? Matteo e Marco che narrano il medesimo episodio parlano apertamente di scandalo, cioè di ostacolo insuperabile nel combinare la sua origine familiare con la pretesa messianica da Lui avanzata.

In Luca è Gesù che interpreta e rivela il sentire profondo di quell’assemblea carica di stupore: «Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao fallo anche qui, nella tua patria». Come dire: opera qui da noi, sii un valore aggiunto a Nazareth, alla tua patria. «Tu, figlio di Giuseppe, sei dei nostri». Dunque un tentativo di cattura, di appropriazione, che si colloca totalmente fuori dalla logica ampia e universale delle parole di Isaia delle quali Gesù annuncia il compimento nell’oggi della sua persona.

Se è così, allora il richiamo ai due antichi profeti diventa una provocazione terribile. Elia ed Eliseo, in tempi lontani furono strumenti dell’azione di Dio a favore di due stranieri pagani, un uomo siriano lebbroso e una donna vedova alla fame assieme a suo figlio, che abitavano in territorio della Fenicia. Con questi richiami Gesù allude all’ampiezza della sua missione e l’autore Luca, che scrive in tempi nei quali l’Evangelo si era diffuso ben oltre il territorio palestinese, rafforza questo orientamento che pure aveva incontrato pesanti ostacoli.

Il tentativo di linciaggio è la reazione comprensibile di una comunità chiusa in sé dinanzi al rifiuto di Gesù a ridursi nell’integrazione pretesa ed è l’anticipazione dell’esito a cui andrà incontro con la parola e l’azione messianica nel suo esodo a Gerusalemme. Dinanzi al blocco del rifiuto, Gesù si rimette in cammino passando in mezzo a loro.

Per concludere due sottolineature per noi:

Il rischio di includere Gesù e il suo messaggio in un circuito mentale e organizzativo che ponga noi, le nostre logiche e i nostri obiettivi al centro, è sempre attuale. Pensiamo ad esempio a quelle forme di rivendicata identità, che sfrutta i simboli tradizionali (crocifisso, presepio ecc), contro gli altri. Svuotandoli in tal modo del loro messaggio salvifico universale e inclusivo

L’oggi di Dio che comincia a compiersi nella persona di Gesù con la forza dello Spirito del Signore è ancora attivo nel corso della storia. L’oggi di Dio diventa il nostro oggi da riempire con l’ispirazione e la prassi messianica. Il nostro cervello e le nostre mani sono necessari per il compimento dell’opera che Gesù ha svelato a Nazareth e che attraversa tutta la storia umana.