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Il virus è in Europa. Non basterà salvare la moneta

La lotta al coronavirus è una sfida sanitaria di dimensioni planetarie: non ha precedenti nell’epoca moderna, sia per la velocità di diffusione, legata alla globalizzazione delle persone e all’esplosione delle connessioni aeree, sia per gli strumenti che la scienza può mettere in campo per frenarla e combatterla.

È anche una battaglia che propone sfide radicali alla politica, a partire dalla presenza o meno di un sistema sanitario pubblico nel proprio Paese e sulla sua fondamentale importanza nelle condizioni straordinarie più che ordinarie, sino al ruolo della scienza, e della ricerca scientifica, per la quale per troppi anni si è giocato usandola per sfide elettorali improprie.

La lotta al Covid-19 dà una dura lezione ai sovranisti di ogni latitudine, sotto forma di legge del contrappasso. Per quelli dell’isolamento, come Trump, il contrappasso è la chiusura delle frontiere da parte del Messico. A quelli dell’“aiutiamoli a casa loro”, la lezione che arriva dalla Cina è l’invio di aiuti in tecnologie, strumenti di protezione e uomini. È una lezione quasi sfrontata, ancor di più se la confrontiamo con la reazione opposta di alcuni Paesi europei, che solo qualche giorno fa hanno negato l’invio di mascherine all’Italia.

La lotta al coronavirus ci dice che per il bene degli Italiani passa per il bene dell’umanità, e che per questo serve che il tempo della scienza e delle competenze, il tempo della cooperazione e della solidarietà, sia non solo per oggi, ma per sempre, da adesso in poi.

Ma la sfida politica più grande sarà per le istituzioni internazionali. Anzitutto per l’Onu, sbeffeggiata da Trump in questi anni come un’inutile tassa ma che ha nella sua agenzia sanitaria l’unico faro mondiale riconosciuto. E poi anche per noi e l’Europa. Nel 2008 l’Europa è stata salvata salvando l’euro, con Mario Draghi e il suo “whatever it itakes”: ma ora? Questa volta la sfida è più difficile: non basterà salvare la moneta, servirà salvare i valori.

Il richiamo autorevolissimo del presidente della Repubblica Mattarella all’Europa è un monito non solo per la pessima figura fatta dalla nuova presidente della BCE, che ha scelto affrettatamente il momento di differenziarsi dal suo predecessore, o per gli atteggiamenti inadeguati degli Stati membri rispetto ai quali la Commissione Von der Leyen, da sola, può opporre solo piccoli margini di autonomia e di risorse economiche.

È soprattutto un monito per la tenuta di un’idea di Europa che in questi 50 anni abbiamo voluto e costruito, fatta del sentirsi parte di un’unica comunità, di solidarietà naturale e non obbligata, della generosità di popoli che si uniscono per un ideale e non per convenienza, della capacità delle istituzioni comuni fatte dai popoli e degli Stati di sapere interpretare i valori profondi dell’umanesimo popolare e non gli interessi e le ingordigie degli elettorati maggioritari.

La reazione degli Stati membri europei così come la vedremo nei prossimi giorni sarà esiziale: se sarà quella degli egoismi e delle piccole patrie, del “si salvi chi può”, avremo dato una grande spinta ai sovranisti e il colpo di grazia all’idea di Europa, e forse alla stessa Unione.

Se invece prevarrà la capacità comune di resistere e coordinarsi, di far prevalere cooperazione e solidarietà, di preservare e far crescere i valori fondamentali della comunità di popoli europei, come è stato durante i momenti più duri del continente, allora l’Europa si salverà e sarà più forte, interpretata e abitata da donne e uomini come ieri sono stati De Gasperi, Schumann e Adenauer, poi Delors, Kohl e Prodi e che oggi trovano la continuità nel monito e nell’esempio del nostro presidente della Repubblica.

Se c’è una cosa a cui la politica deve pensare oggi è che come nel salvare la salute di donne e uomini europei ci sono eroici medici e infermieri, così dobbiamo essere in prima linea per preservare non solo l’economia ma anche i valori, con il nostro esempio. Salvare insieme la salute salverà anche l’Europa.

 

Roberto Rossini

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