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Persone e non numeri. Idee per la riforma del SSN: intervista al Presidente Anffas Roberto Speziale

Come annunciato qui iniziamo con i contributi e le riflessioni intorno allo smart report curato da Gianluca Budano e David Recchia, in occasione della 70esima Giornata Mondiale della Salute, una ricerca inedita di analisi sugli effetti della pandemia Covid-19 sulle politiche italiane della salute e di welfare. La prima voce raccolta è quella di Roberto Speziale, Presidente nazionale Anffas (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).

 

 

 

Intervista a Roberto Speziale, Presidente Nazionale Anffas.

A cura di David Recchia, Dipartimento Studi e Ricerche Acli Nazionali

 

 

Come più volte affermato in questi giorni, oggi l’emergenza che stiamo vivendo ci pone drammaticamente di fronte ad una realtà profondamente mutata con la quale dobbiamo fare i conti e di cui non possiamo non tenere conto. Cosa significa questo? Ne parliamo con Roberto Speziale, Presidente Nazionale Anffas.

 

Buongiorno Presidente, cominciamo l’intervista con una questione affrontata anche nello Smart Report pubblicato dalle Acli. Mi riferisco ai tagli e più in generale all’indebolimento del Sistema Sanitario italiano. Ci potrebbe indicare quali sono stati i cambiamenti maggiori avvenuti nel SSN negli ultimi anni?      

 

Occorre fare chiarezza sulla questione delle risorse. Con la legge 833 del 1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, si affermava all’art. 1 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il Servizio Sanitario Nazionale.  La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana”. Con la legge 502 del 1992 si procede al riordino della disciplina in materia sanitaria e si inserisce il principio che il diritto alla salute continua ad essere garantito ma viene subordinato alle risorse disponibili messe a disposizione dallo Stato per garantire, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, i livelli essenziali di assistenza (LEA). Allo stesso tempo si dà avvio all’aziendalizzazione del sistema sanitario e vengono ripartite le competenze tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali. La distribuzione del fondo nazionale viene determinata per “quota capitaria”.

 

Può spiegare meglio?

 

Dagli atti si evince che la necessità di riformare la legge 833 nasceva dal fatto che la stessa non aveva prodotto i risultati sperati e che la Sanità, essendo fortemente permeata dalla “politica”, era fonte di spreco e di inefficienze.

Fino all’entrata in vigore della legge 502, la sanità veniva quindi finanziata secondo il criterio della spesa storica. In presenza di perdite si provvedeva con il sistema del ripianamento praticamente a piè di lista. Questo sistema premiava le Regioni e le stesse strutture ospedaliere che, in precedenza, avevano una spesa storica più alta (generalmente il sistema sanitario del centro nord del paese) e penalizzava tutto il resto. Il sistematico sottofinanziamento delle Regioni con una spesa storica inferiore ha finito con il determinare un progressivo accumularsi di forti disavanzi e la rincorsa a tagli indiscriminati, chiusura di presidi, mancati investimenti, blocco del turnover, etc.

A questo si è aggiunto progressivamente il malgoverno, l’irrazionale utilizzo delle risorse, l’infiltrazione del sistema da parte di approfittatori, sistemi corruttivi etc. che hanno dato il colpo di grazia al sistema.

La riforma del 1992 non solo non ha risolto tutto questo ma ne ha aggravato gli effetti, finendo con lo scavare un solco ancora più profondo tra i vari sistemi regionali.

 

Si può quindi affermare che la causa di tutti i mali sia da attribuire alla carenza di risorse?

 

No! A mio modesto avviso avvalorare questa semplicistica chiave di lettura, che “certa politica” tenta di accreditare, potrebbe risultare fuorviante. Sicuramente un problema di risorse esiste. Ed il corretto parametro da prendere a riferimento è quello della spesa pro capite sull’area salute a livello europeo, rispetto alla quale l’Italia non risulta certamente in linea. Ma prima ancora che di risorse, o meglio, assieme alla questione delle risorse, va affrontato il problema del “funzionamento” del sistema, della sua “governance”, della rivisitazione del “rapporto pubblico privato”, della “ricentralizzazione” delle competenze in capo allo stato e del corretto ed efficace uso delle risorse.

 

 

 

 

Qual è il ruolo del sociale in questo suo disegno?

 

Per quanto ci riguarda più da vicino non si può prescindere anche dalla definizione del sistema socio/sanitario e sociale che, in sinergia con il sistema sanitario, devono dare ad ogni singolo cittadino una copertura a 360 gradi rispetto ad un sistema integrato di servizi che deve coniugare il fondamentale ed irrinunciabile diritto alla cura ed alla salute con tutti gli altri domini della qualità della vita. In buona sostanza occorre che “la persona” sia l’unico e primario soggetto da porre al centro dell’intero sistema ed attorno ad essa si sviluppi un sistema “olistico” di presa in carico a partire dal concepimento ed accompagnandola in modo dinamico per tutte le stagioni della vita a prescindere dal suo funzionamento o condizione sociale o altra caratteristica personale.

In tal senso, occorre che l’intero sistema ed i servizi vengano riadattati, anche facendo tesoro della tragica esperienza che stiamo vivendo, ponendo realmente al centro la persona ed adattandosi alle sue necessità (piuttosto che il contrario, come troppo spesso ancora avviene) e che si costruisca una vera e propria rete integrata che possa garantire a tutti i cittadini la concreta, semplice ed agevole fruizione del proprio diritto ad avere i giusti e necessari sostegni, personalizzati ed individualizzati.

Da questo punto di vista, in particolare per i cittadini con disabilità, centrale diviene, ancor di più, lo strumento del progetto individuale di vita (come previsto dall’art. 14 della legge 328/00 e della legge 112/2016), redatto sulla base delle preferenze, desideri ed aspettative della persona stessa e della sua famiglia, ed attorno al quale non possono che articolarsi tutti i sostegni e gli interventi di cui la persona necessita ed ha diritto.

Occorrerà, in qualche modo, finalmente superare l’attuale diaspora tra il sistema sanitario-socio/sanitario-sociale-educativo e lavorativo, in favore di un nuovo sistema nel quale ciascuna persona venga considerata in una visione “olistica”, a prescindere dal suo “funzionamento”, per garantirle i giusti e necessari sostegni, distinti per intensità e quantità, durante l’intero arco ed in tutte le condizioni della propria vita.

 

Quali sarebbero i benefici economico-gestionali per il sistema?

 

Un siffatto sistema molto basato sulla personalizzazione degli interventi, sulla prevenzione, sull’uso delle moderne tecnologie, sull’incentivo all’educazione di stili di vita attivi e mirati al miglioramento della Qualità di Vita della persona, sulla verifica di efficacia e razionale utilizzo delle risorse, sulla costruzione di una rete integrata di servizi tra quelli sanitari/socio sanitari e sociali, etc. porterebbe, certamente, nel medio/lungo periodo anche a stabilizzare il fabbisogno economico rendendo sostenibile l’intero sistema. Limitarsi, di contro, semplicemente ad immettere nell’attuale sistema maggiori risorse, anche sull’onda emotiva dell’emergenza che stiamo vivendo, porta con sé il serio rischio di essere poco efficace non affrontando i problemi strutturali che sono sotto gli occhi di tutti.

 

Nel testo abbiamo parlato anche di un territorio che può trasformarsi in una trappola per i cittadini. Secondo lei come possiamo uscirne?

 

Come detto, non vi è alcun dubbio che l’intero sistema sanitario/socio sanitario e sociale nel nostro Paese vadano ripensati e non solo sul fronte delle strutture di emergenza legate alla pandemia da coronavirus. Infatti, questa emergenza ha contribuito a mettere in risalto problematiche già conosciute e mai risolte, oltre ad altre evidenze che hanno trovato l’intero sistema del tutto impreparato. Ancora una volta si tratta, prima ancora che affrontare semplicisticamente il dibattito sulla pur necessaria e cogente rivisitazione del titolo V° della costituzione, di capire di quale modello ci vogliamo dotare e come far dialogare tra di loro i vari sistemi con certezza di ruoli, di competenze, di responsabilità e di risorse. Intanto, occorre che la “politica”, rispetto a tale sistema, venga messa definitivamente alla porta. In capo alla stessa va mantenuta solo una competenza di indirizzo e controllo da esercitarsi, anche in modo congiunto, con i cittadini e con le loro organizzazioni maggiormente rappresentative.

 

 

Abbiamo parlato anche del Livelli Essenziali, in particolare delle difficoltà di garantirli in modo omogeneo in tutto il Paese. Nel merito, vorrebbe aggiungere qualcosa a quello che ha già detto?

 

I Livelli Essenziali Sanitari e Sociali vanno riscritti e ripensati in un’ottica di centralità della persona e di intervento personalizzato, anche alla luce delle esperienze vissute con l’emergenza da coronavirus. Devono essere concretamente garantiti, in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, i discendenti diritti e servizi. Congiuntamente, vanno definiti i Livelli Essenziali degli interventi e delle prestazioni sociali. I due sistemi si devono interfacciare e operare in sinergia senza alcuna parcellizzazione di competenze e devono essere adeguatamente finanziati.

 

Per quel che riguarda il monitoraggio dei Livelli Essenziali e la garanzia di accesso ai servizi, cosa pensa?

 

Occorre a tal fine disporre di un sistema in grado di rilevare in modo oggettivo, trasparente e democratico l’effettiva garanzia che tali Livelli Essenziali siano resi concretamente esigibili e che siano presenti indicatori di rilevazione di processo, di esito e di efficacia. Il tutto deve consentire di misurare che il complesso “olistico” di tali interventi sanitari, socio-sanitari e sociali abbiano concreta rilevanza sul miglioramento della Qualità della Vita delle singole persone.

In tali atti devono essere previsti particolari accorgimenti per le persone a maggior rischio di discriminazione, esclusione e segregazione (persone con disabilità, persone con gravi patologie; persone anziane etc.) che devono ottenere, senza alcuna limitazione o complicazione, l’accesso alle cure ed alla rete integrata dei servizi di cui necessitano per essere poste in una condizione di pieno godimento di tutti i propri diritti ed avere garantita la migliore qualità di vita possibile.

 

 

Per concludere, un’ultima complicata domanda: secondo Lei da dove dobbiamo ricominciare una volta conclusa l’emergenza in corso?

 

Comincerei dalla medicina territoriale e domiciliare, anche avvalendosi dei moderni sistemi di telemedicina. A tal fine fanno adeguatamente formati ed informati sia gli operatori che i cittadini.

Occorre che anche la medicina legale e quella legata alla medicina del lavoro facenti capo a Inps ed Inail vengano riorientate in tale contesto. In tale ottica bisognerà anche chiarire i confini e le competenze del sistema sanitario rispetto a quello assistenziale e previdenziale, evitando sovrapposizione e duplicazione di ruoli e competenze. La selezione degli operatori che a vario livello devono operare in tale sistema deve avvenire esclusivamente sulla base delle necessarie competenze richieste. Per quelle già in servizio occorre prevedere piani obbligatori di aggiornamento e formazione.

Lo strumento della valutazione multidimensionale e multiprofessionale di ciascuna persona dovrà finalmente accompagnare la definitiva transizione dal superato modello pietistico/assistenziale/medico verso un modello biopsicosociale basato sui diritti umani. Ciò potrà avere delle ripercussioni positive non soltanto per i cittadini con disabilità, ma per l’intera collettività e l’intero sistema.

Occorre, poi, superare il sistema di penalizzazione economica delle regioni meno performanti sostituendolo con un sistema di rimozione dei dirigenti che non abbiano dimostrato il raggiungimento degli obiettivi prefissati anche in relazione alla concreta esigibilità dei Livelli Essenziali da parte dei cittadini e non solo di contenimento della spesa. Infatti, l’attuale sistema sottrae risorse proprio a quelle Regioni che ne avrebbero maggiore necessità, rendendo i poveri sempre più poveri ed i ricchi sempre più ricchi e, quindi, piuttosto che risolvere i problemi, si finisce con l’aggravarli. Neppure i piani di rientro delle Regioni in patto di stabilità o commissariate hanno dato alcun esito positivo, se non deprimere ulteriormente i sistemi regionali e locali e contrarre i diritti fondamentali dei cittadini interessati. L’emergenza “coronavirus” ha reso evidente l’inefficienza di questo sistema. Occorre abbandonare qualsiasi approccio ottusamente contabilistico in favore di un sistema che sia in grado di misurare l’efficacia degli interventi.

Occorre fare tesoro, senza ripeterne gli errori, delle positive esperienze realizzate in varie parti del Paese e, partendo dalle tante eccellenze, omologare verso l’alto l’intero sistema con un’unica “cabina regia” di livello statale.

Occorre che, in tal ottica, venga ripensato il rapporto pubblico privato ponendo come “dogma” e limite che sulla salute e sulla vita delle persone a nessuno, pubblico o privato che sia, è dato fare “mero commercio”, scacciando dal tempio i “mercanti della salute”.

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