Ipsia Acli: Il Mali senza pace di Sacko Soumayla

di Fabio Pipinato

 In Mali si dormiva sotto le stelle sino a poco tempo fa. Si vedevano le stelle come in nessun altro posto al mondo. I turisti dormivano nelle terrazze prive d\’inquinamento luminoso. Alcuni ipotizzano che fossero stati proprio i Dogon a scoprire Sirio B che ruota attorno alla stella Sirio A. Ad occhio nudo.

Oggi, ad occhio nudo, si vede uno scontro etnico (da sempre e ovunque esistito tra pastori e agricoltori) con armi da fuoco automatiche. I giovani scappano in Burkina; a migliaia. I più puntano all\’Europa da dove provengono le armi. Le stesse armi che qualche giorno fa uccidono a Vibo Valentia in Calabria il sindacalista Sacko Soumayla e ferito due suoi amici, rei di cercare lamiere in una fabbrica abbandonata per costruirsi un riparo. In realtà i motivi sembrano essere ben altri…

Tra Peul e Dogon. Siamo ai confini con il Burkina Faso nella piana della falesia di Bandiagara, uno dei posti più affascinanti al mondo, abitata per lo più dall\’etnia Dogon, una delle popolazioni più interessanti che abita diversi paesi del west Africa. Non v\’è antropologo al mondo che non conosca “Dio d\’acqua” di Marcel Griaule che dà uno spaccato della ricchezza culturale di questo popolo.

Ebbene i Dogon sono per lo più agricoltori e i Peul, che provengono dal Burkina, sono per lo più pastori. Popoli pacifici che si trasformano in Caino e Abele quando fa caldo, è secco e si contendono i campi. A riferire degli scontri è la segreteria di Giru Yam (non diciamo il nome per ovvi motivi), l\’ong del Mali che da dieci anni costruisce scuole e residenze per rifugiate come l\’Hotel de la paix di cui già si è occupato Unimondo. Egli afferma che i dati che emergono dalle agenzie internazionali sono relativamente bassi: i morti ammazzati negli scontri nei pressi di Yassing sono più di 25.

Il mese scorso vi fu un attacco simile, con armi da guerra, con 80 morti. Naturalmente le agenzie giornalistiche europee avevano ben altro di cui occuparsi ma questi sono i numeri. Peul e Dogon non si amano. E\’ comprensibile. Soprattutto da quando il debolissimo governo di Bamako ha dato il permesso ai pastori di transitare con le proprie mandrie nei campi di miglio degli agricoltori. Ma, anche qui come altrove, non possiamo leggere il singolo scatto fotografico se non lo inseriamo dentro un film. I Peul che hanno compiuto il recente massacro sono ben armati. Le armi provengono dalla Libia nel pre/durante la caduta di Gheddafi. Poi, come ricordiamo, i tuareg alleati degli Jihaidisti le usarono per conquistare il nord del Mali assieme ad altri indipendentisti.

Non è un caso che i Peul vengano accusati da più parti di essere filojihadisti. Non solo per le armi in loro possesso (provenienti anche dal bel paese come ha monitorato per primo Unimondo con Giorgio Beretta) ma anche per i gruppi terroristici da essi stessi animati come il “fronte della Liberazione della Macina” che è una regione al centro del Mali. I Peul smentiscono. Purtroppo l\’appartenenza di pochi di etnia Peul a gruppi terroristici condanna tutta la popolazione Peul ad essere assimilata al terrorismo. Non è così! Sarebbe come dire mussulmano = terrorista o cristiano = crociato e solo gli speculatori in malafede lo possono teorizzare. Soprattutto nel paese ove vi sono le più grandi e belle moschee di sabbia al mondo attorniate da scuole coraniche e antichissime tradizioni di convivenza religiosa.

In realtà i Peul sono essi stessi vittime di una guerra globale che vede lo Stato Islamico perdere terreno in Siria e conquistarlo in Mali, laddove una resistenza armata è quasi inesistente se non supportata da truppe europee che, guarda caso, intervengono per rallentare l\’avanzata Jihadista sul campo (sovrasuolo) ma in contraccambio vogliono diritti sul sottosuolo (uranio e petrolio) come ha monitorato attentamente il Sole 24 ore.

I giovani Peul e i capivillaggio sono costretti ad “alleanze forzate” con gli Jihaidisti “liberatori”, come afferma Radio France Internationale, sono costretti a profanare anche luoghi sacri come Djenné che sono territori immensamente affascinanti con la moschea di terra rossa “patrimonio dell\’umanità”.

Purtroppo gli scontri hanno azzerato prima il turismo e, ora, la cooperazione internazionale. Prima il Niger era solcato dalle grandi piroghe che dalla capitale Bamako risalivano fino alla mitica Timbuctu ove veniva celebrato il “Festival del Deserto”, dove le graffianti chitarre elettriche coprivano il rumore dei pick-up dello Stato Islamico. Ora basta. Le ultime ong stanno lasciando il paese.

Tra queste Ipsia che sta costruendo a Sevarè (Mopti – la venezia maliana) una caffetteria presso l\’Hotel de la Paix. Il sogno era quello di dare la possibilità a 50 ragazze, che non potevano più studiare a causa dello Stato Islamico (no studio, no canto, no ballo, no calcio, no uscire dopo il tramonto, no arti scoperti nonostante i 50 gradi), non solo di soggiornare in pace ma anche di guadagnarsi, con una caffetteria aperta al pubblico, i soldi per pagare la retta di soggiorno. Studiare e lavorare. Learning by doing. Niente.

Il rumore delle armi è ora più forte e l\’unico cantiere in terra di confine, aperto dalla cooperazione decentrata della Provincia Autonoma di Trento, sta per esser chiuso. I materiali costano un occhio della testa e l\’insicurezza regna sovrana.