A Palermo il 15 settembre il Pontefice va oltre l’anatema di Giovanni Paolo II e indica la via alla Chiesa – di Salvo Palazzolo

Papa Francesco, fra i 100mila del Foro Italico, non si ferma alla condanna della mafia: «Agli altri, la vita si dà, non si toglie».

Non si ferma neanche all’appello alla conversione dei mafiosi: «Cambiate, smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi. Perché non si può credere in Dio ed essere mafiosi».

Il Papa va oltre l’urlo di Papa Wojtyla nella Valle dei Templi. E indica una strada ben precisa per una possibile liberazione. È la strada che ha percorso don Pino Puglisi, martire per mano mafiosa. Una strada che la Chiesa siciliana non ha ancora intrapreso fino in fondo, venticinque anni dopo quel 15 settembre di sangue.

«Don Pino lo insegna — eccolo, il cuore del messaggio del Pontefice in una giornata di festa — non viveva per farsi vedere, non viveva di appelli antimafia, e nemmeno si accontentava di non far nulla di male, ma seminava il bene, tanto bene» . Non servono le parate e le cerimonie, non servono neanche le denunce vuote e la retorica sulla legalità. Bisogna tornare al «bene», ovvero alle esigenze reali della gente e della città.

Il suo ragionamento inizia all’omelia e raggiunge il culmine in Cattedrale, davanti ai sacerdoti, con parole altrettanto decise: «Vorrei dire qualcosa sulla pietà popolare molto diffusa, in queste terre, è un tesoro che va apprezzato e custodito, perché ha in sé una forza evangelizzatrice, ma sempre il protagonista deve essere lo Spirito Santo ». E giù con l’affondo: « Quando la Madonna si ferma e fa l’inchino davanti alla casa del capomafia — scandisce il Papa — quello non va assolutamente». Fa una pausa e si rivolge ai sacerdoti di tutta la Sicilia: «Vi chiedo di vigilare attentamente, affinché la religiosità popolare non venga strumentalizzata dalla presenza mafiosa ». Arriva un grande applauso.

«Padre Pino aveva ragione», dice il Papa. E lancia un invito a «guardarsi dentro». Non ci può essere svolta senza un severo ripensamento. «Abbiamo bisogno di tanti preti del sorriso, di cristiani del sorriso, non perché prendono le cose alla leggera, ma perché sono ricchi soltanto della gioia di Dio, perché credono nell’amore e vivono per servire. Perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere».

Ci sono alcune parole chiave nella svolta indicata da Francesco. «Servire», ma anche «rischiare » . E poi « verità che detesta la falsità » , « sacrificio » , « perdono e non vendetta».

«Oggi abbiamo bisogno di uomini di amore, non di uomini d’onore; di servizio, non di sopraffazione ». E ancora più nello specifico: « Se la litania mafiosa è: ” Tu non sai chi sono io”, quella cristiana è: ” lo ho bisogno di te”. Se la minaccia mafiosa è: “Tu me la pagherai”, la preghiera cristiana è: “Signore, aiutami ad amare”. Perciò, dico ai mafiosi: cambiate”

Un altro invito al cambiamento: «Chiediamoci: ” Che cosa posso fare io?” ». Pure queste sono le parole del parroco di San Gaetano diventato beato: «Se ognuno fa qualcosa », era il suo motto. «Non aspettare che la Chiesa faccia qualcosa per te, comincia tu. Non aspettare la società, inizia tu. Senti la vita della tua gente che ha bisogno, ascolta il tuo popolo ». «Questo è l’unico populismo possibile, l’unico populismo cristiano: sentire e servire il popolo senza gridare, accusare e suscitare contese ».