Al Paese non serve un altro partito di ispirazione cristiana

Servono cristiani che hanno voglia di cambiare il mondo  

A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita cristiana

Due anni fa Democrazia Solidale, il progetto sostenuto da alcuni esponenti di rilievo della Comunità di Sant’Egidio, ora Insieme, la formazione promossa da Stefano Zamagni e presentata a Roma il 4 ottobre scorso. Ritorna, con una certa frequenza, la tentazione di dare vita ad un partito di ispirazione cristiana. L’obiettivo dichiarato da tutti è – in vista di una prossima legge elettorale – di posizionarsi al centro dello schieramento politico e porre rimedio alla diaspora, che dura da più di trent’anni, dei cattolici che, orfani della Democrazia Cristiana, si sono divisi e dissolti nei due schieramenti. Rendendo, molto spesso, irrilevanti le istanze di cui sono portatori. Un “lievito” che, a detta dell’economista bolognese, è stato “devitalizzato”, perché se non raggiunge la soglia critica, non riesce a svolgere la sua funzione. Un lievito che è stato incapace di dare vita ad una classe dirigente di ispirazione cristiana degna di stare dentro, con competenza, le trasformazioni in atto nel nostro Paese.  

Un “centrismo riformista” che non convince 

Eppure, il progetto di un centrismo riformista non mi convince. Personalmente, sono convinto che sia finita la stagione del partito di ispirazione cristiana. Finita per sempre, non tornerà più. Perché non ci sono più le emergenze che hanno reso necessario la nascita nel 1919 del Partito popolare (portare il popolo cattolico, bloccato per decenni dal non expedit pontificio, dentro lo Stato unitario) e nel 1943 della Democrazia Cristiana (fare di cattolici il nucleo portante della creazione dello Stato democratico). 

Oggi siamo approdati ad un’altra fase della vicenda politica. I contorni della domanda politica contemporanea sono in movimento e non si rifanno più a quelli di ieri. 

Dobbiamo prenderne atto, così come non possiamo ignorare che in Italia è sorta una nuova questione sociale che per certi aspetti, può divenire ancora più grave di quella del diciannovesimo secolo, che riguardava principalmente la condizione della classe operaia. 

Oggi la questione sociale va ben oltre le condizioni particolari di una classe sociale, raggiunge la natura stessa del vincolo collettivo, in tutte le sue dimensioni: familiare, culturale, economica, ecologica, geografica, 

dimensioni che, come sostiene lucidamente Savino Pezzotta, “l’ideologia dell’economia finanziaria nega. La crisi economica, l’evoluzione culturale e la rivoluzione cibernetica hanno trasformato il convivere che sempre più sembra essere sottoposto a tensioni e lacerazioni.” 

Di fronte a queste sfide occorre anzitutto riconoscere che i cristiani si riconoscono sempre meno nelle prescrizioni della Chiesa in ordine alla vita sociale e politica. Un’irrilevanza a modificare i comportamenti sociali nei confronti della politica che è sotto gli occhi di tutti. 

I cristiani votano preferibilmente a destra 

Inoltre, occorre riconoscere che oggi, nella loro maggioranza, i cattolici italiani si sono spostati a destra. Non c’è inchiesta che non confermi questa tendenza. Oggi pare vincere un cristianesimo identitario, nazionalista, integralista. In alcuni casi, benedetto da preti che nella nostalgia dei numeri di ieri si illudono di recuperare i “valori” grazie ad alleanze con quanti, opportunisticamente, sembrano volerli salvaguardare, quando in realtà e nella pratica li svuotano.  

Dunque, prima ancora che immaginare un contenitore politico (che nell’affollato parterre del “centro” rischia di portare ogni formazione politica a risultati di poco valore) occorre ricostruire le condizioni che possano ridare legittimità– in un quadro sociale frantumato e in preda a convulsioni che spaccheranno ancora di più il tessuto umano delle nostre comunità. – alla costruzione, condivisa, dell’umano. I cristiani che hanno passione per la città (ma come possono definirsi tali se questa passione non ce l’hanno?) dovrebbero convincersi che oggi è tempo di semina. Semina di pensiero e di idee. Tempo di studio e di formazione. Perché nella città di tutti si sta con laicità e con rigore, non per l’etichetta. Tempo di sperimentazioni e di esperienze collettive.  

La fede non è faccenda di idee. La fede la si incontra nella vita concreta e semplice, toccando la terra, le cose, le persone, i poveri. 

E quindi –sottolinea spesso Luigino Bruni – con opere concrete, che oggi mancano molto, troppo, nella comunità cristiana. Istituzioni nuove, giovani, fatte con e insieme ai giovani, con e insieme ai poveri perché è sempre in mezzo ai poveri e ai piccoli dove si impara a risorgere. Nei periodi delle sue molte crisi epocali, la Chiesa è risorta generando opere: i Monti di pietà del Quattrocento, che risposero alle gravi crisi della povertà urbana; le migliaia di opere educative e sanitarie dei carismi sociali dal Seicento al Novecento, le cooperative e le casse rurali nell’inizio Novecento della nostra terra bergamasca. E oggi? E noi? 

La via distinta e alternativa dei credenti 

Un’ultima cosa. Non credo che i cristiani laicamente impegnati in politica possano immaginare una “terzietà” di centro e moderata. Come ha ben scritto recentemente Franco Monaco: “Non voglio far dire al papa ciò che non dice, ma, leggendo con attenzione la sintesi del suo magistero sociale condensata nella Fratelli tutti, si ricava l’impressione che egli prospetti sì una “terza via”, ma – qui la novità – di una terzietà da intendere in senso diverso rispetto a quello di un passato ormai lontano: non come via mediana tra modello liberal-capitalista e collettivista-socialista (oggi fuori gioco), ma intesa come via distinta, altra e alternativaalle due al presente in campo, quella neoliberale e quella populista. Dunque, terza sì ma non mediana, non di centro, di sicuro non moderata. Semmai più audace e radicale nell’ambizione di “cambiare il mondo”. L’opposto della tatcheriana massima TINA (“there is no alternative”).” 

Perché non si può stare a metà. “Non esiste il centro tra giustizia e ingiustizia”, diceva uno slogan cileno. Ma, prima ancora, lo ha detto la vicenda di Gesù di Nazareth.