CNEL e Salario minimo, Acli: famiglie sempre più povere, non c’è tempo per piani pluriennale da Unione Sovietica

FLORIANO BOTTA CONFINDUSTRIA, RENATO BRUNETTA PRESIDENTE CNEL, CLAUDIO RISSO CISL

Subito salario minimo con indice di esistenza libera e dignitosa e vincolo in ogni settore e vincolo al rispetto dei contratti collettivi maggiormente rappresentativi

 “Milioni di lavoratori e di famiglie non arrivano a fine mese adesso e il CNEL e il Governo parlano di “piani pluriennali” da Unione Sovietica di un secolo fa –  afferma Emiliano Manfredonia, Presidente nazionale delle ACLI, “La relazione approvata dal CNEL, pur ricca di approfondimenti, non ci pare colga l’urgenza dei problemi e la necessità di invertire rapidamente la rotta anche con misure sperimentali. Inoltre spetta al Parlamento scegliere quali strade perseguire tra quelle indicate dall’Europa per varare il Salario minimo, e non certo al CNEL che tra l’altro ha approvato un documento con il voto contrario di sindacati che proprio il testo stesso indica tra quelli che rappresentano il 90 % dei lavoratori. Palazzo Chigi invece usa questo lavoro per rimandare la scelta celandosi dietro un “piano di azione pluriennale” che nei fatti significa non rispettare ancora una volta il Pilastro europeo dei diritti sociali: dopo aver eliminato la previsione di un reddito minimo per tutti i poveri, non si esprime per il salario minimo neanche con riferimento ai contratti maggiormente rappresentativi.

Nella relazione sembrerebbe invece emergere, anche se timidamente, l’ipotesi di arrivare a definire il Salario minimo giungendo a un riferimento vincolante per tutti i settori, ai minimi indicati nei contratti siglati dai sindacati maggiormente rappresentativi: ci sembra una via indispensabile, ma dai tempi lunghi e non sufficiente. –  aggiunge Manfredonia – Come ci ricorda una recente sentenza della Cassazione, la nostra Costituzione stabilisce che tutte le retribuzioni debbano assicurare a chi lavora “un’esistenza libera e dignitosa“, e purtroppo la via contrattuale deve confrontarsi col moltiplicarsi di contratti collettivi nazionali (oltre mille), molti siglati solo per fare dumping contrattuale.”

“Occorre intervenire su più fronti, come abbiamo evidenziato nelle nostre 10 proposte denominate Lavorare pari, – aggiunge il Vicepresidente nazionale e Responsabile Lavoro delle ACLI, Stefano Tassinari – varando subito delle sperimentazioni in settori dove la contrattazione è stata indebolita. In particolare è urgente un indicatore nazionale che misuri il livello di esistenza libera e dignitosa che la Costituzione chiede sia garantito in ogni retribuzione, una misurazione che non sia sotto il controllo del decisore politico del momento, e segua l’inflazione. È indispensabile perché i contratti non prevedano compensi e salari inferiori a questo indicatore nonché per determinare, anche nei contratti scaduti, adeguamenti all’inflazione reali e non ammorbiditi.

Anche sul riferimento vincolante per tutti i settori alle retribuzioni minime dei contratti maggiormente rappresentativi serve un provvedimento immediato e sperimentale, – continua Tassinari –  in attesa che i corposi approfondimenti del CNEL negli anni giungano a conclusione.

Inoltre va creata anche una soglia di Guadagno Massimo Consentito, visto che la povertà del lavoro e delle famiglie spesso è causata dall’arricchimento eccessivo di pochi, come testimoniano buone uscite di manager 10.000 volte superiori a quelle di un lavoratore.

A ciò si deve accompagnare certo un taglio del cuneo fiscale, ma non fatto a debito e quindi scaricato soprattutto sui giovani, ma reso stabile da una riforma del sistema fiscale che guardi a tutti i redditi e preveda una vera progressività, come impone la nostra Costituzione.

Servono anche altre correzioni di rotta: impoverire sanità e servizi sociali ed escludere gran parte delle famiglie in povertà da un reddito minimo crea un ulteriore indebolimento delle famiglie e, come evidenziato dall’Osservatorio ACLI sui redditi e sulle famiglie, è urgente non dimezzare l’Assegno Unico una volta compiuti i 18 anni di età e rivedere anche la decisione di toglierlo ai 21 anni.”