Conferenza della coesione territoriale, Acli: il Governo ripensi le politiche sociali per contrastare lo popolamento delle aree interne del nostro paese

“Questo Governo deve smettere di chiacchierare e iniziare a fare politica per i territori”. Così Emiliano Manfredonia, Presidente nazionale delle Acli,  durante la prima giornata della Conferenza Nazionale di Coesione Territoriale, organizzata a Napoli dalle Acli nazionali. Due giorni di incontri e dibattiti per riflettere con istituzioni, esperti e realtà del terzo settore su come creare una società più inclusiva, riducendo le disparità economiche e sociali tra le varie regioni italiane. “Abbiamo voluto riportare l’Iref, Istituto di Ricerche Educative e Formative delle Acli, al centro della nostra attività sociale”, ha affermato Manfredonia commentando la ricerca dell’Iref “Il contrasto allo spopolamento delle aree interne tra welfare e società civile”, presentata questa mattina. “Al ministro Lollobrigida dobbiamo dire che questo posto idilliaco dove, nonostante la povertà, si mangia meglio, non c’è – ha continuato Manfredonia – ma esistono aree interne, cioè borghi e  paesi dove vivono 12 mln di persone lontane dai servizi principali scuola sanità e mobilità. Noi delle Acli conosciamo queste aree interne, viviamo in mezzo a situazioni di marginalità e sappiamo come creare coesione. Tutto il Terzo settore è un collante vivo che permette a tanti paesi di resistere ma bisogna che la politica faccia la sua parte mentre sembra che lo Stato e l’Ue stiano facendo la guerra al Terzo settore: la riforma sta davvero mettendo al muro tante realtà associative, e in questo senso anche il tentativo di reintrodurre il regime Iva per il Terzo settore non è stato un bel segnale. Non si capisce che proprio facendo rete con realtà come i nostri circoli, che sono spesso, soprattutto in territori difficili, gli unici presidi di socialità, si riesce a creare quel micro welfare che è il primo passo per combattere il depopolamento delle aree interne.”

Come ha spiegato la ricercatrice Iref Cecilia Ficcadenti, “esiste una correlazione tra la presenza del terzo settore, che favorisce dei legami sociali comunitari, e la tendenza allo spopolamento. Lo studio (allegato in fondo all’articolo) ha dimostrato come dal duemila in poi nelle aree interne ci sono stati dei comuni che hanno vinto la sfida contro lo spopolamento anche grazie al capitale sociale. In quindici anni, questi paesi hanno regolarmente aumentato la loro popolazione, pur non potendo beneficiare di un volano come il turismo. Lo sviluppo del terzo settore può rappresentare un’efficace strategia di riduzione della condizione di marginalità”.

“Le aree interne non sono un problema marginale, perché riguardano il 58% del nostro territorio, coinvolgono il 23% della popolazione e sono presenti in tutte le regioni italiane. – ha aggiunto Luisa Corazza, docente all’Università del Molise e membro del Centro ArIA,-  La politica, negli anni, ha accettato il depopolamento sistematico di queste aree in favore dell’inurbamento quasi come fosse un prezzo da pagare per l’ammodernamento del paese, sottovalutando un problema grave. Lo spopolamento ha portato alla diminuzione, o alla totale cancellazione, di alcuni servizi essenziali, legati quindi alla sanità, alla scuola e alla mobilità, innescando e favorendo di fatto un circolo vizioso molto difficile da fermare. Per fortuna, da q0 anni a questa parte, il trend si sta invertendo, quantomeno stiamo analizzando questo problema non guardando solo all’aspetto economico, e quindi a quanto un’area sia in grado di attrarre per le opportunità di lavoro che offre, ma anche tenendo conto dei servizi, del welfare e anche di tutto il contributo della società civile”.

Alla Conferenza nazionale è intervenuto Stefano Consiglio, presidente Fondazione Con il Sud: “La coesione territoriale è un tema fondamentale per la tenuta del nostro Paese. Questa sfida non può essere vinta con logiche competitive tra i territori. Le aree interne sono il luogo di sperimentazione di un problema nazionale: abbiamo perso in questi anni due milioni di cittadini. Occorre riorganizzare il sistema dei servizi per arginare lo spopolamento. Bisogna creare occasioni di lavoro per chi vive in questi luoghi e contemporaneamente accogliere persone provenienti da altri contesti che possono trovare nei nostri paesi una nuova casa. Sappiamo però che non esiste un’unica ricetta. Le strategie e le risposte devono essere individuati all’interno dei territori stessi, puntando sulla cooperazione: la sfida è troppo complessa per essere vinta da soli”.

Antonio Russo, vicepresidente nazionale Acli e Portavoce Alleanza contro la povertà, ha spiegato: “Le aree interne resistono se c’è una economia del territorio e dei servizi, come la scuola e gli ospedali. Lì dove non abbiamo un piano di sviluppo concreto non ci sono le condizioni per vivere. Dobbiamo prima di tutto investire sul lavoro e ripensare le politiche sociali, sanitarie e culturali. Se questo manca, nessun giovane sceglierà di restare. Proviamo a far sì che le aree interne diventino luoghi vivibili e di benessere anche per i nuovi cittadini italiani e non luoghi di confine. Un’Italia senza i territori è un Paese che ritornerà al feudalesimo, un rischio concreto con la riforma dell’autonomia differenziata”.

Sabina Licursi, docente all’Università della Calabria, ha sottolineato l’importanza del welfare per combattere lo spopolamento. “L’Italia ha un grosso problema demografico, dovuto da un lato dall’aumento delle durata della vita e dall’altro dalla bassa fecondità: ci sono meno giovani che fanno meno figli”, ha affermato Licursi. “Questo pone una questione di tenuta del sistema. Il decremento strutturale della popolazione in un comune genera le più grave forme di diseguaglianza di fatto. Per fermare questa emorragia demografica occorre puntare sul welfare e adeguare l’intervento pubblico negli ambiti della salute, della mobilità e dell’istruzione. Questo significa che non bisogna avere un ospedale in tutte i comuni ma garantire il diritto alla salute in tutti i comuni. Le pluriclassi nelle scuole devono essere in grado di assicurare la qualità della didattica. Non abbiamo bisogno di nuovi chilometri di strade o ponti ma di un miglioramento della mobilità, sperimentando mezzi alternativi all’uso privato. La sfida è quella di provare a costruire dei servizi su misura per i territori, dove le persone sono poche ma hanno comunque desideri e esigenze. La risposta sta nelle politiche su misura e non su quelle standard”.

Qui la sintesi dello studio sulle aree interne