Cosa resterà del 25 aprile?

Come sarà il 25 aprile di quest’anno, alle soglie della terza repubblica? Cosa faranno la Lega, il M5S? Cosa potrà ancora significare per gli italiani? E soprattutto: cosa trasmettere alle giovani generazioni di questa storia?

Nella seconda repubblica la tradizione era di fatto celebrata da una parte sola, perché l’altra avrebbe voluto un taglio diverso. Sia Berlusconi, sia Fini ebbero a dire che i tempi erano maturi per trasformare la festa della liberazione in festa della libertà. Non è la stessa cosa, ma comunque non vi fu seguito: già, tanto – avranno pensato – un giorno passa in fretta…

Ma un giorno – una celebrazione – può significare molto, se fonda l’identità di una comunità nazionale. Per far questo bisognerebbe rispolverare la categoria del mito o, più semplicemente, il registro della narrazione. E la storia del 25 aprile è anzitutto e semplicemente una serie di storie, di italiani che salvano la vita dell’Italia sacrificando la loro, per liberarla dal totalitarismo fascista e dall’occupazione nazista. Non è stato esattamente così per tutto il Paese e per tutti gli italiani: molti sono stati liberati dalle truppe angloamericane e molti si sono battuti per difendere ciò che era rimasto del regime mussoliniano. Alcuni si saranno anche distratti. Recuperare tutte queste dimensioni è certamente importante per la pacificazione e per la serietà storica. Va bene. Ma il cuore del racconto non sta qui: la cosa più importante sono stati i migliaia e migliaia di episodi di resistenza a un sistema di pensiero e di potere che aveva dichiaratamente ucciso la libertà e l’uguaglianza. Ci sono identità che si fondano anche su un solo episodio, su un solo fatto. Qui gli episodi e i fatti, i sacrifici umani e perfino le straordinarie forme di resistenza non armata sono migliaia. E danno la misura di un carattere, di una volontà.

In questi anni, a ogni 25 aprile, è emersa la polemica per la divisione tra buoni e cattivi, fra antifascisti e anticomunisti. Ma non è la guerra civile italiana la questione principale. Si può perdonare, si può pacificare. Ma il 25 aprile racconta di un’altra storia: narra della biografia di alcuni uomini e alcune donne – preti e suore compresi – che hanno indicato una strada per liberarsi dal male politico. Ogni città ha poi i suoi martiri e i suoi eroi, in questo scontro, vero, tra bene e male. È tutto qui. Il resto è retorica.

Fare memoria delle storie è perpetuare una certa idea della politica, della convivenza. Potrà piacere o non piacere, ma questa è la nostra storia e questi sono i valori che si sono affermati. Giovanni Bianchi – storico Presidente delle Acli – scriveva che è proprio in queste tensioni e in queste resistenze che nasceva l’idea di un “secondo Risorgimento” (finalmente popolare), di un patto generazionale che consentisse di ricostruire un idem sentire per riorientare lo sguardo degli italiani. Ecco, fare memoria di un idem sentire, orientare lo sguardo. Narrare queste storie ci pare che abbia ancora questo significato. Poi la politica si incaricherà di dirci che oggi i soggetti politici sono altri. Ma questo non è una contraddizione, è semmai l’esito di una liberazione.

Nel 2018 cade il settantesimo anniversario della Costituzione repubblicana, originata dalla lotta resistenziale. Ma è anche il settantesimo anniversario delle prime elezioni per il Parlamento della Repubblica svoltesi il 18 aprile 1948. Elezioni che si svolsero in un clima di accesa contrapposizione fra forze politiche unite nella lotta per la Liberazione e nella scrittura della Costituzione, che però si sono ritrovate divise dall’incipiente fase della cosiddetta Guerra Fredda. E fu contrapposizione aspra, che non degenerò mai in guerra civile per il senso di responsabilità di tutti gli attori coinvolti e permise al nostro Paese di affrontare in modo unitario, trent’anni dopo, la durissima prova della lotta contro il terrorismo che culminò – anche questo è un anniversario – con il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro. Proprio a partire da quella data, dal 18 aprile che in apparenza chiudeva per sempre una porta, si aprì invece il sentiero stretto della più ampia legittimazione democratica di tutti gli attori, poiché i vincitori riconobbero di non poter governare da soli e gli sconfitti progressivamente si affrancarono da una visione del mondo tributaria di un’ideologia totalizzante e illiberale, condividendo il necessario legame atlantico ed europeo che è connaturato alla nostra democrazia.

Allora, detto questo, sarebbe già importante ricordare che a fondare questo Paese ci sono stati quelli che l’hanno unito e quelli che gli hanno dato un’anima. Ci sono stati i Cavour, i Garibaldi, i Mazzini, i martiri di Belfiore e i fratelli Bandiera, tanto quanto ci sono stati i martiri di Cefalonia, i fratelli Corrà, i Teresio Olivelli e gli Alberto Marvelli.

Tanto per rispetto della nostra memoria. Tanto per dire di che spirito siamo stati formati.

Roberto Rossini