Dentro “la pista” di Borgo Mezzanone, la ricerca dell’Iref sullo sfruttamento dei braccianti stranieri

Comprendere e analizzare le cause dello sfruttamento dei braccianti nelle campagne italiane. È l’obiettivo della nuova indagine dell’Iref, intitolata “Dentro “la pista” di Borgo Mezzanone: una ricerca esplorativa sulla riproduzione della marginalità nello slum dei braccianti stranieri”, che sarà presentata il 2 dicembre, durante un workshop presso la sede delle Acli Provinciali di Foggia, via Rovelli 48, e il 3 dicembre presso il “The Garden of Jesus”, all’interno della “pista” di Borgo Mezzanone. Il report si è avvalso di un finanziamento della Fondazione Terzo Pilastro Internazionale di Roma ed è stato elaborato in collaborazione con la Fondazione Socialismo.

La ricerca ha per oggetto di studio l’insediamento informale di Borgo Mezzanone e si basa su alcune sedute di osservazione nella cosiddetta “pista”, il ghetto più grande e popoloso d’Europa, e su 27 interviste qualitative a braccianti, amministrati locali, produttori, rappresentanti delle parti sociali, attivisti del terzo settore che operano nel foggiano.

La baraccopoli di Mezzanone

La “pista” di Mezzanone nasce all’interno di una ex base militare dislocata nel bel mezzo della campagna pugliese. Nel 2005 in quest’area isolata è stato creato un CARA, un centro di accoglienza per rifugiati. In seguito, alcuni migranti hanno preso possesso di alcuni container che erano stati collocati fuori dal perimetro recintato del CARA. Oggi la baraccopoli ospita circa duemila migranti stanziali e verosimilmente altri tremila braccianti stranieri che popolano l’insediamento durante i picchi di massima affluenza, nella stagione di raccolta nei campi. Sono quasi tutti sfollati e profughi originari dell’Africa nord-occidentale e subsahariana.

La storia di Hadi

Accompagnati dagli operatori della Flai-Cgil che agiscono in loco attraverso un presidio aperto agli inizi dell’anno corrente, i ricercatori dell’Iref si sono immersi in un contesto sociale difficile, provando a stabilire un rapporto di fiducia con i migranti che la sera ritornano nei loro fatiscenti alloggi dopo aver lavorato duramente sotto il sole, riempiendo cassette di pomodori o cogliendo asparagi e zucchine dal terreno coltivato. In questo modo, è stata raccolta la testimonianza di Hadi, partito alla volta dell’Europa dalla Nigeria nel 2016. La sua famiglia praticava il vudù e anche lui avrebbe dovuto conformarsi a questo rituale religioso. Ma, diventato cristiano protestante, si è rifiutato e ha subito un processo sommario. Lo avrebbero con tutta probabilità seppellito vivo, se non fosse scappato in Libia. Nel 2017 è riuscito a pagarsi il viaggio su un barcone ed è arrivato a Pozzallo.

Dopo aver lavorato per diversi anni in un ristorante, spaccandosi la schiena per più di dodici giornaliere e senza nessun riposo nel fine settimana, nel marzo del 2022 si è stabilito nella “pista”. Da allora ha piantato e raccolto spinaci, asparagi e pomodori per un agricoltore italiano. Il salario era di sei euro all’ora al netto delle trattenute per sei-otto ore al giorno, anche se il produttore faceva figurare in busta paga soltanto la metà delle giornate effettivamente lavorate. Per quel lavoro si è alzato ogni mattina alle quattro o alle cinque e ha pagato al suo autista cinque euro per il trasporto verso il luogo di lavoro. Per dormire in un letto pagava cinquanta euro al mese. Ha resistito così nei mesi freddi, vincendo la tentazione di lasciarsi invischiare nei traffici illeciti esistenti nella “pista” (spaccio di stupefacenti e antidolorifici) o di farsi reclutare per qualche furto. Oggi, grazie ai responsabili di un’associazione religiosa, è stato inserito in un centro di accoglienza del territorio.

Un bacino inesauribile per lo sfruttamento della manodopera

Dalle analisi degli autori del VI rapporto su Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto-Flai-Cgil, emerge che nel nostro Paese ci sono circa 234 mila addetti occupati in modo illegale nelle campagne.  La provincia di Foggia è quella in cui la presenza dei braccianti stranieri nelle campagne è la più pronunciata (15.051 presenze, il 35,3% degli operai agricoli presenti nel territorio). Come si è visto, la maggior parte dei lavoratori che popolano la baraccopoli restano intrappolati nella vaghezza del verdetto sul permesso di soggiorno e ciò li priva della possibilità di costruirsi un quadro di certezze: la residenza con un affitto registrato; un contratto di lavoro con paghe, orari e un livello di tutela accettabile; l’accesso a corsi di lingua e alla formazione professionale. In troppi nella “pista” sono senza documenti, essendo nei fatti alla mercè dei circuiti dell’illegalità, non di rado si arriva a farsi imprestare un’identità pur di trovare un lavoro e sopravvivere, al prezzo di ricevere la paga dal proprio “alias regolare”, che può tranquillamente approfittarsi della situazione, trattenendo una provvigione dal salario del sans papier di turno.

I diversi volti del caporalato

Dentro la “pista” i caporali continuano a vendere servizi ai braccianti: trasporto, cibo, affitto di posti letto nei container o nelle baracche. Vi è un gran numero di persone soggiogate da questi oscuri intermediari, dovendo necessariamente fare affidamento su di loro, a causa di una condizione complessiva di isolamento. Sebbene dopo il varo della legge 199 del 2016 diverse operazioni di polizia abbiano portato all’arresto di reti e soggetti dediti a reati di sfruttamento del bracciantato, i mediatori occulti ancora imperversano, facendo leva sulla fragilità dei lavoratori stranieri.

L’ esercito invisibile dei braccianti è sempre esposto alla possibilità di subire ricatti: un caposquadra “amico” che funge da autista, il prestanome che fa da tramite con il datore di lavoro che non vuole avere problemi con gli ispettori del lavoro, sino ad arrivare a reti più strutturate di intermediari occulti, composte da italiani e stranieri che controllano decine di squadre di braccianti nella stagione dei raccolti, facendo di quest’attività un vero e proprio business. Nel fluire caotico della vita della baraccopoli si annidano diverse possibilità di sfruttare i lavoratori più deboli, compreso il fatto di trafficare con gli antidolorifici o di gestire la prostituzione.

Cosa accadrà dopo il decreto Cutro

I caporali forniscono risposte immediate alla carenza di lavoro, alloggio e trasporto, creando nei fatti un sistema parallelo di welfare che copre l’assenza di politiche migratorie adeguate. La situazione peggiorerà con il restringimento del regime di protezione umanitaria. Dopo l’approvazione del “decreto Cutro” è prevedibile che aumentino le richieste di asilo politico, rimanendo quest’ultimo l’unico canale per regolarizzare la propria permanenza in Italia, a meno che non vi sia la chiamata di un datore di lavoro prima dell’approdo in Italia. La proliferazione delle istanze di asilo non farà altro che alimentare la precarietà dei richiedenti, i quali vedranno rinnovarsi di sei mesi in sei mesi il permesso temporaneo, nella vana attesa che le commissioni territoriali possano pronunciarsi in via definitiva sulla loro pratica. La conseguenza potrebbe essere quella di ingrossare il numero di lavoratori stranieri che restano imbrigliati in una situazione di precarietà giuridica il cui risvolto è il disagio e l’esclusione sociale. I problemi non si risolvono di sicuro con le sanatorie, non è però nemmeno sostenibile la reiterazione di un approccio emergenziale alle politiche migratorie, che ha come conseguenza la riproduzione costante della marginalità.

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