È morto Giuseppe Rizzo, il cordoglio delle Acli

Le Acli tutte esprimono cordoglio e vicinanza ai famigliari di Giuseppe Rizzo, primo Presidente dell’Unione Sportiva Acli, dal 1963 al 1966 e Vicepresidente nazionale accanto a Dino Pennazzato, dal 1954 al 1960.

Vogliamo ricordare Giuseppe Rizzo anche  attraverso alcuni estratti di un suo lungo articolo, pubblicato nel suo blog personale nel 2013,  che ben testimonia il legame profondo tra Rizzo e l’associazione.

Di seguito il ricordo di un aclista di lungo corso e poi quello dell’ex Presidente nazionale, Luigi Bobba

…Tra chi scrive, Giuseppe Rizzo nato a Catania il nove febbraio del 1924, e le associazioni cristiane dei lavoratori italiani -le Acli- esiste un legame profondo, un rapporto incancellabile anche se gli eventi, a più riprese, hanno provato a farlo: ma di questo dirò in seguito. Un rapporto fatto di sentimenti e di scelte razionali e definitive che, sin dall’anno 1944 quando avevo 20 anni, mi legarono testa e cuore ragioni e sentimenti, al movimento dei lavoratori cristiani italiano. Un legame fatto forte dalla profonda condivisione di quella triplice fedeltà: alla classe lavoratrice, alla democrazia e alla dottrina sociale cristiana, evocata nel 1955 dal Presidente centrale delle Acli Dino Penazzato. Del quale sono stato dal 1954 e per molti anni stretto collaboratore nella veste di componente la presidenza centrale e di vice presidente nazionale. Fedeltà alla classe lavoratrice, profondamente sentita anche perché già a 16 anni ero lavoratore figlio di lavoratori, fedeltà alla democrazia per essere forti nella libertà e nella giustizia, fedeltà alla Chiesa perché non vi può essere dissidio tra l’insegnamento sociale della Chiesa e il mondo del lavoro. …

Di Achille Grandi ricordo il cordiale, affettuoso incontro che ebbi con lui nel 1946 nell’Ospedale di Roma il Fatebenefratelli dove era ricoverato. Ricordo il suo appello a noi giovani e la sua esortazione a fare forti le Acli anche, mi disse, come diretto sostegno alla rappresentanza sindacale cristiana nella CGIL. In Sicilia, prima Regione liberata dal fascismo e dalla guerra, la proposta di dar vita alle Acli fu portata da Salvatore Gasparro, che già nel settembre 1944, rientrato dalla guerra, con un gruppo di amici di Palermo aveva aperto la porta alla nuova associazione con una iniziativa sostenuta dal Cardinale Luigi Lavitrano, arcivescovo di Palermo. Gasparro, dal maggio 1945, fu il primo Consigliere nazionale Acli siciliano e rappresentò la Presidenza centrale in Sicilia sino al suo trasferimento a Roma, dove assunse l’incarico del coordinamento organizzativo nazionale delle Acli. Anche nella mia città mons. Carmelo Patanè, arcivescovo di Catania, aveva appoggiato l’Idea di dar vita ad una associazione di lavoratori cristiani mettendo a disposizione alcuni locali per ospitarla. La proposta venne subito accolta dal giovane sacerdote don Giuseppe Serrano, da me e da un gruppo di giovani catanesi tra i quali ricordo Giuseppe Drago, Antonino Malara, Salvo Cavallaro, Gaetano Scuto, Giannina Polizzi, Nino Perrone, Onofrio Spitaleri, Gaetano Ferrini e Vito Scalia, che rivestirono poi nel tempo importanti cariche sindacali e politiche. Scalia fu il primo rappresentante della corrente sindacale cristiana nella Camera del Lavoro-CGIL- di Catania e poi vice segretario nazionale della Cisl, parlamentare della D.C. e ministro.

Lanciammo la proposta delle Acli con il primo manifesto cittadino stampato dopo la liberazione annunciando la costituzione della nuova associazione dei lavoratori cristiani che si proponeva di essere attivamente presente nel sindacato e nella società catanese. In meno di un anno le Acli di Catania erano attivamente presenti nel mondo del lavoro e nei Comuni della provincia. Conservo copia di una mia lettera del 27 agosto 1945 indirizzata a Salvatore Gasparro che fu per molti anni protagonista della costruzione organizzativa delle Acli a livello nazionale. In quella lettera dell’estate del 1945, con la quale rispondevo ad una sua del 20 agosto 1945, che certamente non era il primo contatto, protocollata in sede centrale a Roma con il n° 37/45, scrivevo: ”Le nostre speranze non sono state deluse. Un grande entusiasmo ci circonda e ci spinge al lavoro. Abbiamo in funzione Uffici, Consigli, Commissioni e il Patronato che svolge da tempo la sua attività. Abbiamo costituito i nuclei Acli nelle principali aziende cittadine, è iniziata l’attività della Commissione femminile e dei servizi sociali, a partire da quelli del tempo libero. …

Avevo già verificato personalmente l’importanza dello sport nella Acli quando già nel 1945 avevo promosso la Polisportiva Acli-Virtus a Catania. Nel 1954 ero già impegnato alla promozione di una società Sportiva delle Acli. Proposta da me formalizzata nella seduta del Consiglio di Presidenza centrale del 21-22 dicembre 1955. Dell’Unione sportiva Acli sono stato poi il Presidente sino al 1962.

In quegli anni il Consiglio nazionale approvò su mia proposta il rilancio delle iniziative di formazione professionale dei lavoratori con la costituzione dell’Enaip –Ente Nazionale Acli per l’Istruzione Professionale- che fu da me diretto, con la collaborazione di Ercole Feroci, Alberto Riello e Mario Gilli, fino al 1962 e che conobbe in quegli anni uno straordinario sviluppo, con la promozione di molti centri permanenti di formazione professionale in tutte le regioni. Ho presieduto e diretto la Cooperazione nelle Acli. In particolare quella edilizia sovvenzionata, con la costruzione in tutte le regioni di centinaia di case per i lavoratori associati. Ho promosso il Centro Turistico Sociale e con Mario Magi curammo per anni la promozione di importanti attività artistiche e ricreative, una rete di filodrammatiche delle Acli ottenendo l’adesione di molti artisti anche professionisti come, tra gli altri, Silvio Noto e Vittorio Gassman.

In quegli anni si lavorò senza risparmio per costruire la casa delle Acli, il corpo del movimento, fatto dai Circoli e da servizi sociali in grado di rispondere alle richieste dei lavoratori associati. Lavoro che fu accompagnato da un significativo impegno per la formazione di nuovi quadri dirigenti delle Acli e dei Servizi. Nacque nel 1958 la Scuola centrale di formazione, con sede a Roma in Via Ulisse Seni n.2. L’obiettivo era quello di formare nuovi quadri per dare più forza ad “UN GRANDE MOVIMENTO OPERAIO CRISTIANO GUIDA DELLA CLASSE LAVORATRICE”.

Giuseppe Rizzo

 

 

 

Quei ragazzi di Catania

Il commovente racconto di Giuseppe Rizzo, morto sabato scorso a Roma, all’età di 97 anni, recentemente pubblicato sul nostro sito, ci offre qualcosa di meraviglioso.

Siamo a Catania nel 1944. L’isola è la prima regione italiana a poter dire: “la guerra è finita”. Ma non è proprio così. La Sicilia è tutto un brulicare di eserciti stranieri e di armi. La guerra infuria nel centro nord del Paese, molto più feroce di prima. I siciliani sono alle prese con mille problemi. E’ vero, anche il regime fascista è terminato, ma… che succederà dopo? Per quanto tempo durerà l’occupazione militare? Verremo trattati duramente (come avverrà per la Germania, divisa prima in quattro parti e poi in due) dalle potenze vincitrici? La monarchia sabauda rimarrà o verrà sostituita? E i comunisti cosa faranno? Quanto durerà la guerra civile che già divampa nel resto del Paese (la Grecia sarà di lì a poco dilaniata in uno scontro tra fratelli che la insanguinerà per tre anni)?

Questi pensieri certo non sfuggivano alle menti dei giovani siciliani, così come non erano estranei a nessuno.

Se possibile, ancora più gravi erano altre preoccupazioni: l’assoluta provvisorietà della vita quotidiana; i figli ed i fratelli lontani, lontanissimi, di cui non si avevano più notizie (chissà se erano ancora vivi), i più “fortunati” dei quali languivano prigionieri di guerra catturati su entrambi i fronti: dai tedeschi nei Balcani ed in Germania, dagli alleati in Africa, in India, in America; il lavoro totalmente precario, (anche nella pubblica amministrazione: in una situazione di caos completo, altro che posto fisso!):  e senza lavoro non si mangia, ed i bambini sono tanti; manca il cibo ma manca anche l’acqua, il tutto con una moneta che non è più la lira ma non è neanche qualcosa d’altro. E l’istruzione a pezzi: scuole, università… si riuscirà a finire gli studi?

Su tutto, un’ombra tenebrosa ben conosciuta nell’isola di Giovanni Verga: in situazioni del genere a pagare il conto sono i poveri. Non i baroni, non i notabili che dopo l’arrivo degli americani si sono affrettati a passare da una parte all’altra. Sono sempre le tante misere creature che pagano, e pagano salato, il conto che la Storia con la sua vanitosa esse maiuscola, ti presenta alla fine delle sue evoluzioni maestose che tutto travolgono.

Ebbene in tutta la Sicilia e a Catania, l’amata città di Rizzo, ci sono dei ragazzi, spesso neppure ventenni, che riuscono nell’impresa di vivere il dramma del presente con uno sguardo vincente. Non vogliono accasciarsi. Vogliono vincerlo, questo dramma.

Nello spirito assomigliano ai loro padri e ai loro nonni che, costretti da uno Stato unitario che non sapeva che farsene, erano emigrati a milioni in tutto il mondo per guadagnarsi il futuro, facendosi grande onore ovunque, a prezzo di sudore e sacrifici.

Anche questi ragazzi che non si danno per vinti sanno che il prezzo da pagare sarà costituito da sudore e sacrificio. Ma anche loro vogliono farsi onore, anche loro vogliono guadagnarsi un futuro non di stenti e di miseria, di sopraffazione e di vergogna. Il riscatto degli umili li muove.

E così si organizzano, fanno rete, vanno dai preti e dai Vescovi: la Chiesa è l’ultima ed unica buona istituzione rimasta in piedi dopo il grande sconquasso e poi, come scrive lui stesso: “perché non vi può essere dissidio tra l’insegnamento sociale della Chiesa e il mondo del lavoro”.  L’obiettivo è chiaro: aiutare, per quanto umanamente possibile, i ceti più poveri, più disgraziati, i nullatenenti, i disoccupati, i lavoratori, tutta gente che ha famiglia, e figli, e anziani da mantenere. Anche lo stile è chiaro: tenere la schiena dritta. Nella disgrazia, la dignità è tutto. E la dignità si sviluppa in vari modi: fondare una libera associazione, le ACLI, le nostre amate ACLI, contribuire con essa ad animare il sindacato, allora unitario, dar vita insieme ai sacerdoti al Patronato, orientare cristianamente lo sconforto generale, far capire ai nuovi occupanti che la Sicilia ha millenni di luminosa cultura e che i siciliani sono fieri della loro Storia, anch’essa con la esse maiuscola e, appena possibile, coordinarsi con i ragazzi dei territori che lentamente vengono liberati dai tedeschi ma non dal veleno dell’odio che la guerra mondiale e civile ha seminato ampiamente. E poi, comunicare a tutti le cose che fai: “il primo manifesto cittadino stampato dopo la liberazione” (quanta fierezza in questa nota!) annunciando la costituzione della nuova associazione dei lavoratori cristiani; cercare Roma, capitale di uno Stato che non si vuole veder diviso in due, ed andarci appena possibile, in modo da poter incontrare un vecchio ragazzo di nome Achille Grandi che aveva la tua età quarant’anni prima: lui ne ha vissute di cotte e di crude sempre mantenendo dritta la schiena e ti accoglie benevolmente riconoscendo nel tuo operato la continuazione ideale e pratica del suo.

I frutti di una simile azione non tarderanno: “Le nostre speranze non sono state deluse. Un grande entusiasmo ci circonda e ci spinge al lavoro.”

Nel corso della sua lunga vita, Giuseppe ha tenuto fede a queste speranze e a questo entusiasmo. “In quegli anni si lavorò senza risparmio per costruire la casa delle Acli, il corpo del movimento, fatto dai Circoli e da servizi sociali in grado di rispondere alle richieste dei lavoratori associati.” Scorrendo i suoi impegni nelle “grandi ACLI” di Penazzato e di Labor sembra di leggere…il nostro Statuto: il Patronato, la formazione professionale dei lavoratori con la costituzione dell’Enaip, l’Unione sportiva Acli di cui fu Presidente, la Cooperazione, il Centro Turistico Sociale, le attività artistiche e ricreative… “Lavoro che fu accompagnato da un significativo impegno per la formazione di nuovi quadri dirigenti delle Acli e dei Servizi.” C’è tutto. E consideriamo pure che, anche se oggi a noi sembrano quasi scontate, allora gran parte di queste forme di impegno sociale erano innovative, per niente banali. Così come fu innovativo e per niente banale il suo appassionato impegno nell’E.I.S.S., di cui fu a lungo Presidente negli anni successivi.

Cosa ci insegna oggi Giuseppe Rizzo di Catania “a 16 anni lavoratore figlio di lavoratori”, cosa ci insegnano Salvatore Gasparro, amabile gentiluomo palermitano che molti ancora si ricordano al lavoro fino a tarda età presso la sede centrale del nostro Patronato, e Giuseppe Drago, Antonino Malara, Salvo Cavallaro, Gaetano Scuto, Giannina Polizzi, Nino Perrone, Onofrio Spitaleri, Gaetano Ferrini e Vito Scalia, per nominare solo quei ragazzi di tre quarti di secolo fa citati nella sua memoria?

Con un’unica parola possiamo dire: tutto. Nella storia degli uomini il dramma si presenta continuamente, e ogni generazione ha il suo bel daffare per affrontarlo e cercare di vincerlo. La qualità della risposta corrisponde alla qualità delle persone e delle generazioni. Oggi come ieri contano l’intelligenza, la determinazione, la perseveranza, la generosità, l’attenzione amorevole verso i poveri, la disponibilità al sacrificio, la concretezza unita ad una vita spirituale cristiana che anima ogni scelta e, non ultima, la fierezza delle proprie radici. Queste cose fanno la differenza tra uno sguardo energico e vincente sul mondo ed uno ignavo. Per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, Giuseppe Rizzo ha trasmesso tutte queste qualità, che aveva a vent’anni e che sono rimaste intatte fino alla soglia del secolo di vita.

 

 

 

Qui di seguito un ricordo dell’ex Presidente nazionale, Luigi Bobba

 

In ricordo di Giuseppe Rizzo                                 di Luigi Bobba

Trovandomi lontano da casa e non potendo consultare testi cartacei, scrivo questo breve ricordo di Giuseppe Rizzo, storico dirigente delle Acli scomparso pochi giorni or sono, avvalendomi di due mail che fortunosamente ho ritrovato nel mio computer. La prima è in occasione della Pasqua del 2019, nella quale Rizzo mi inviava i suoi auguri “nel ricordo di Giovanni XXIII, della sua esortazione ad amare i nostri cari e il prossimo, nel rispetto dei valori evangelici, morali e culturali. Anche del libero associazionismo delle emigrazioni e delle immigrazioni. Poche righe ma dense di significati. Il richiamo non casuale al Papa “buono” dice dello speciale rapporto che le Acli degli anni ’50 e ’60 – anni in cui Rizzo ricoprì ruoli apicali nell’associazione – avevano con Giovanni XXIII, canonizzato il 27 aprile del 2014 da papa Francesco.  E le parole conclusive del biglietto di auguri esplicitano il significato di questo legame: “evitando lo spreco di risorse pubbliche destinate agli armamenti”. Risuona qui forte e chiaro il messaggio della Pacem in terris e l’impegno costante delle Acli, fino ai giorni nostri ,per la promozione della pace nel mondo. Ma altresì quel richiamo al “libero associazionismo delle emigrazioni e delle immigrazioni” rivela qualcosa di essenziale circa  l’intelligenza degli avvenimenti che ha caratterizzato l’opera e gli scritti di Giuseppe Rizzo. Il  riferimento alle emigrazioni e’ una delle corde sensibili del movimento aclista; le Acli infatti  hanno accompagnato decine di migliaia di italiani che ,nel dopoguerra in cerca di fortuna e lavoro, avevano preso la via dell’emigrazione in Europa e nelle Americhe. E le Acli, accanto a loro, per mantenere  e rinforzare uno spirito di comunità, tutelare i diritti dei lavoratori e promuovere l’integrazione nel paese di approdo. Ma, altresì, delle “immigrazioni”, segno che Rizzo ben aveva colto il cambiamento di un Paese che, nel volgere di meno di due decenni ,si era trasformato da Paese di migranti in terra di immigrazione. E dunque della necessità per i cristiani impegnati nelle Acli di avvalersi di quello storico patrimonio di cultura e di opere tra i migranti italiani per reinvestirlo nelle problematiche di integrazione dei nuovi migranti.

Ma c’è un seconda mail di Rizzo a cui voglio riferirmi. È datata 13 maggio 2014. Mi scrive con la consueta familiarità ma con un evidente richiamo al ruolo che avevo da poco assunto nel governo Renzi, come sottosegretario al Lavoro con  delega al Servizio civile. “Con riferimento alle recenti prese di posizione del Governo sul Servizio civile – scriveva Rizzo- ( erano state da poco lanciate le linee guida per la Riforma del Terzo settore comprensive anche di una revisione della legge istitutiva del servizio civile da “nazionale” ad universale”), ti invio un mio editoriale  della rivista “Rassegna di Servizio Sociale edita dall’Eiss , di cui sono direttore responsabile. Confido che tu ne possa valutare i contenuti e ne voglia tener conto con riferimento agli annunciati cambiamenti del servizio civile”. Rizzo richiama  il carattere  di “un servizio con forte valenza educativa e formativa. Un’ opportunità di educazione alla cittadinanza attiva, in grado di contribuire allo sviluppo sociale, culturale ed economico del Paese”. Dopo aver citato una mia interrogazione dell’aprile del 2012, nella quale denunciavo la cronica carenza di fondi destinati al servizio civile e il rischio di una crisi irreversibile, Rizzo invoca una revisione normativa della materia. “in particolare elevando in modo significativo e stabile il numero di posti da riservare ogni anno ai giovani volontari….” e “assicurandone la tempestiva copertura finanziaria” E concludeva ,“penso ad un nuovo impiego dei volontari del servizio civile (….)   che risulti valido per rianimare nella scuola italiana l’insegnamento del rispetto delle leggi. Una presenza da realizzare ,d’intesa con i Ministeri del lavoro e dalla pubblica Istruzione , in tutte le scuole italiane con la mobilitazione di insegnanti, famiglie , enti locali e libero associazionismo”. Parole in qualche modo profetiche che hanno trovato riscontro proprio nel decreto legislativo n.40/2017 relativo alla nuova disciplina del Servizio civile universale. Sono felice di aver tratto spunto – allora come Sottosegretario – anche dalle parole di questo appassionato dirigente delle Acli per mettere mano ad una riforma volta anche a fornire le risorse necessarie per  “assicurare piu’ incisive forme di educazione civica e di vita comunitaria”. E, anche una mia recente proposta volta ad introdurre un’alternanza scuola/sevizio civile per i ragazzi dai 16 ai 18 anni, va esattamente nella direzione indicata da Giuseppe Rizzo al fine di “realizzare la crescita della cultura della legalità, con la diffusione di nuove regole di convivenza civile….”

In conclusione, nelle poche volte che ho avuto modo di incontrarlo di persona durante gli anni della mia presidenza (1998-2006), ciò che mi è rimasto impresso sono la sua energia, il suo sguardo penetrante e, nonostante l’età avanzata, il desiderio di prospettare nuove forme di impegno sociale per rispondere alle domande di giustizia di questo nostro tempo.+