Giorno del Ricordo, per non dimenticare le vittime delle foibe e l’esodo istriano

Foibe, giorno del ricordo

Il 10 febbraio si commemora il Giorno del Ricordo, la giornata istituita nel 2004 per «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

Oltre al massacro di migliaia di italiani nelle foibe delle zone carsiche di Friuli Venezia Giulia e Istria, uccisi dalle milizie jugoslave, oggi si fa memoria anche dell’esodo di massa di 250mila persone che dovettero lasciare quei territori dal 1945 al 1956.

Le Acli vogliono ricordare le complesse vicende di quell’area, oggi indicata dagli storici come “frontiera adriatica”, attraverso le parole di Enzo Bettiza, lui stesso esule dalla Dalmazia, e di due testimonianze dell’esodo giuliano-dalmata:

“…l’esilio prolungato nello spazio e nel tempo, esilio senza ritorno, possiede una rara quanto perforante facoltà distruttiva: lentamente carbonizza tutto ciò che siamo stati altrove, recide i vincoli di sangue, spegne i ricordi, fa impercettibilmente tabula rasa del passato. L’esilio è come un suicidio indolore e quasi notarile dell’improbabile persona che l’esule era stato una volta e che non è più. Agisce alla stregua di un notaio all’apparenza distratto, sommesso, ma implacabile, che morbidamente costringe l’io a stipulare con se stesso un atto di rinuncia consensuale a quei marcanti beni ereditari che sono la memoria e l’identità”. (Enzo Bettiza, Esilio, Mondadori, Milano 1996)

Testimonianza di un’esule da Dignano d’Istria nel 1948

“Io del viaggio mi ricordo due cose: una nave carica di masserizie e poi quello che è successo a Bologna, dove la gente che faceva il pugno chiuso così e ci diceva fascisti e non si poteva neanche scendere dal treno, ma noi avevamo bisogno di bere un po’ d’acqua e non lasciavano scendere. Allora mia madre mi ha detto: ma vai tu che forse, visto che sei bambina, ti fanno andare. E infatti mi ha accompagnato anche un ragazzino e ci han lasciato venire con l’acqua sul treno. Ci hanno fermato una notte intera, avevamo fame e sete e gli uomini adulti non li lasciavano scendere, è stata una cosa tremenda”. (Testimonianza da Enrico Miletto, Con il mare negli occhi, Franco Angeli, 2005, p. 144)

Testimonianza di un’esule da Isola d’Istria

“Il nostro nuovo domicilio era l’albergo Bellavista a Miramare. Quattro famiglie in una stanza, senza posto per un tavolo o un armadio, sostituito da quattro manici di scopa fissati negli angoli ad altezza adeguata che, raggiunti agevolmente dalla parte superiore dei letti a castello, sostenevano tutto il vestiario “quattro stagioni” coperto da lenzuola, il resto nelle valigie sotto i letti. […] Dov’era la casa di due piani, tutta mia, di fronte al municipio! Se questa esclamazione fosse diventata una domanda, bastava guardassi fuori dalla finestra: nel buio, riuscivo a vedere la luce intermittente della diga del mio paese di fronte a me e sapevo che la mia casa era proprio là, vicina a quella luce. Che sofferenza provavo!”. (Testimonianza da Mariuccia Ragaù, Gente di Borgo tra radici e speranze raccontando oggi le proprie storie, La Mongolfiera, Trieste 2006, p. 99)

Per approfondire: Il confine più lungo