“Giovani e lavoro”- Intervista a Luigi Bobba

“Serve un cambio di passo. È necessario investire su politiche attive del lavoro”. Incontriamo Luigi Bobba, sottosegretario al ministero del Lavoro, poco prima del suo intervento al convegno su giovani e lavoro organizzato dalle Acli. Siamo nell’antico convento di Santa Lucia Filippini, nella stanza dove i Papi si intrattenevano quando alloggiavano nella struttura, diventata ora una Casa per ferie con un Centro congressi. “Sicuramente serve un’inversione di tendenza sul lavoro – afferma Bobba -. Negli anni passati abbiamo speso quasi tutte le nostre risorse per le cosiddette politiche passive riparative come la cassa integrazione e l’indennità di disoccupazione. Dobbiamo cambiare strada e passare alle politiche attive e cioè ai servizi per il lavoro non come un elemento facoltativo ma come un elemento ordinario, una specie di diritto che tutti i cittadini devono avere nel momento in cui devono cercare un lavoro o devono passare da un lavoro all’altro o devono uscire da uno stato di disoccupazione.

Come si cambia passo?

Proprio la nascita di un Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro segna questa discontinuità ovvero la necessità di investire le risorse molte anche di quelle che ci da l’Europa sulle politiche attive. Tra poco partirà proprio a cura dell’Ampas l’assegno di ricollocazione: saranno date risorse ai centri pubblici per l’impiego e alle agenzie accreditate per il lavoro se riusciranno effettivamente a reinserire al lavoro delle persone che si trovano in una condizione di disoccupazione. Le risorse pubbliche vanno finalizzate proprio a reinserire effettivamente al lavoro.

Quali sono le preoccupazioni del governo?

Le preoccupazioni del governo sono fondamentalmente due. La prima è quella di far sì che questo cambio di rotta delle politiche attive trovi degli strumenti che diventino ordinari nell’incontro con le persone, specialmente quelle che sono senza un lavoro o che si trovano in stato di disoccupazione. Dall’altro lato, l’altra leva importante è quella di costituire dei percorsi di alternanza scuola-lavoro, di apprendistato formativo per riavvicinare mondi che erano diventati separati, lontani. Solo se li rimettiamo insieme, conoscenze e competenze daranno un’effettiva possibilità di occupazione ai giovani negli anni a venire.

Come valuta i dati sul lavoro relativi al calo degli inattivi?

Se lo si guarda dal lato dei numeri, potrebbe essere un dato con il segno meno perché se crescono gli inattivi e l’occupazione, significa che è cresciuta anche la disoccupazione perché ci sono più persone sul mercato del lavoro. Però normalmente e gli studiosi ci dicono che quando gli inattivi decrescono, diminuiscono, significa che il mercato è in movimento, che ci sono più opportunità e che anche tante persone che si erano rassegnate a stare ai bordi, fuori dal mercato del lavoro decidono di entrare, decidono di provarci, vedono un’opportunità che cercano di cogliere. Lo guarderei, quindi, come un segnale in prospettiva positivo anche se questo ci obbliga a tenere conto di un dato del nostro Paese. Il tasso di occupazione è significativamente troppo basso rispetto alla media europea del 57%, dobbiamo comunque incrementare complessivamente il numero delle persone che lavorano.

 

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