Green is the colour

Mentre in Italia il Pd si dibatte nell’agone congressuale, in Germania la Spd crolla. Eppure una buona notizia c’è, per chi ha deciso di non dare il voto ad una qualche sfumatura di destra: i Verdi – per lo meno in Germania – sono in rapida ascesa. Siccome in Italia abbiamo già avuto un’esperienza partitica verde, fatichiamo a coglierne la novità assoluta rispetto al tempo che viviamo. Perché invece il verde potrebbe rappresentare un colore importante nel nuovo mosaico politico europeo. Proviamo a dirlo con cinque brevissimi motivi.

Primo, il cerchio. L’economia circolare e la sharing economy, la sostenibilità e il riutilizzo intelligente delle cose, la sobrietà e l’attenzione ad evitare lo spreco: tutti obiettivi ormai largamente accettati da imprese, comunità e cittadini per rendere effettivi dei processi virtuosi, evitando il più possibile gli scarti, secondo un criterio di sostenibilità. Un’economia circolare non mette in discussione il capitalismo, eppure lo cambia dall’interno (perfino riprendendo alcune sue radici primordiali). Specifichiamo che la green economy non è il no allo sviluppo: il verde non risponde alla “cultura del no”.

Secondo, la differenza. La versione sociale del punto precedente è l’inclusione, perché la biodiversità è… naturale, sta nella natura delle cose. Dunque la differenziazione delle condizioni sociali è compatibile, e non è vissuta come la peste: è una differenziazione inclusiva. Si cerca di evitare gli “scarti” – come continua a chiedere Papa Francesco – garantendo a tutti (a molti, almeno) un… utilizzo, cioè un lavoro, un’attività, una funzione, una possibilità. Garantire un sostegno è il primo passo per una società più sicura, perché non c’è nulla come il lavoro a garantire l’ordine sociale. Va da sé che la versione politica dell’inclusione sia allora la partecipazione, ovvero la creazione di strumenti di ascolto democratico intelligente (non di televoto o di spazi per rancorosi post sui social network…).

Terzo, l’alleanza con il blu. In un articolo di qualche mese fa sull’Espresso, si dimostrano i virtuosi collegamenti tra il digitale e il naturale: il blu e il verde viaggiano bene insieme. La dematerializzazione – dall’ebook ai video, dagli smartphone agli strumenti elettronici più avanzati – rafforza la sostenibilità, e soprattutto la rende popolare e facilmente maneggevole: meno atomi e più bit. Le grandi aziende dell’elettronica e del web danno molta considerazione all’approccio ecologico.

Ci sarebbero poi anche un altro paio di considerazioni più legate allo spirito dei tempi, quali l’ormai costante desiderio della gente di ritornare alla natura, di sentirsi parte di un mondo più armonico e più sano (sarà forse per questo…), tra cibo e varie terapie naturali, nonché l’ormai crescente sensibilità verso il bello, su cui facciamo riposare anche il nostro desiderio di salvezza. Ma di questi temi ne parliamo un’altra volta.

Non so… Anche solo elencando alla veloce tutte queste cose, mi viene da pensare che la “pista verde” non sia del tutto politicamente peregrina, e che magari possa offrire un’occasione semplice e chiara per ridare un ordine ai tanti pezzi di quel mosaico alternativo a quello molto ben definito di una destra in costante ascesa. Per lo meno in Germania sembra essere così, i Verdi sono riusciti a produrre una sintesi politicamente innovativa, moderna, lievemente critica (come serve) e soprattutto chiara e distinta. Forse è terminato il periodo del “ma anche”, del meticciato: in politica occorrono proposte chiare e determinate.

Roberto Rossini