Il cattivo esempio di Caterpillar e la globalizzazione senza regole

Diverse persone e anche figure di spicco nelle Marche, hanno esultato per l’arrivo in forza della famosa multinazionale Amazon che con i suoi centri di distribuzione è sempre più capillare nella sua presenza, non ultimo l’acquisizione del centro Interporto di Jesi. E’ vero, porta lavoro ed assume dipendenti. Il problema è quale tipo di lavoro? A che condizioni? E quanti invece ne fa rimanere a casa, sia piccoli commercianti che artigiani e imprenditori affascinati dalla vetrina virtuale e mondiale che Amazon offre loro, ritrovandosi poi in una stretta mortale visto il comportamento che Amazon tiene con i suoi fornitori. E’ d’avvero un bene la presenza delle multinazionali? Probabilmente si, lavoro, indotto, economia, tutto sembra bello e buono, nell’immediato. Ma da un punto di vista sociale e nel medio-lungo termine, cosa succede? Ora, dopo l’esperienza della Elica a Fabriano, sempre a Jesi, abbiamo un altro cattivo esempio.

La multinazionale americana Caterpillar ha deciso di chiudere lo stabilimento di Jesi con la motivazione che, a causa dell’alto costo del lavoro in Italia, ottiene più profitti spostando la produzione in Paesi con il costo del lavoro più basso.

Non c’è esempio più chiaro di quali siano gli effetti perversi di una globalizzazione senza regole. Non c’è esempio più chiaro di che cosa significa puntare unicamente alla massimizzazione del profitto e rendere il lavoro nient’altro che una merce. Non c’è esempio più chiaro di che cosa significa affidare ad algoritmi le decisioni che incidono sulla vita di centinaia di famiglie.

Non solo le grandi multinazionali, ma anche imprese italiane medie e piccole hanno approfittato della cancellazione di regole e vincoli ottenuta negli ultimi trent’anni per trasferire la produzione in Paesi con più basso costo del lavoro e minori tutele legislative e sindacali; mettendo in concorrenza i salariati dei Paesi emergenti con i lavoratori dei Paesi più industrializzati, hanno esercitato una forte pressione al ribasso sui salari, sulle condizioni di lavoro e sui sistemi di protezione sociale dei lavoratori italiani ed europei.

Quello della Caterpillar non è il primo esempio di delocalizzazioni improvvise o addirittura di licenziamenti senza preavviso. Proprio per il ripetersi di simili situazioni sono stati presentati in Parlamento provvedimenti finalizzati a scoraggiare le delocalizzazioni. Ovviamente il Ministero del lavoro e l’intero Governo devono fare tutte le pressioni possibili per evitare chiusure di imprese che, come nel caso della Caterpillar, non sono certo in crisi. Ma i disincentivi economici di cui si parla non basteranno a bloccare decisioni legate a vantaggi economici ben più rilevanti.

Per affrontare i problemi emersi per effetto di una globalizzazione realizzata senza regole dobbiamo innanzitutto comprendere che l’attuale sistema economico è frutto delle scelte degli uomini e quindi può essere modificato e reso più umano e più giusto. Un passaggio cruciale in questa direzione è quello di rimettere il lavoro (non un lavoro qualsiasi, ma il “lavoro dignitoso” di cui parlano le Nazioni Unite) al centro del sistema economico. Questo comporta riconoscere il primato dell’economia reale, cioè del lavoro e dell’impresa (ma un’impresa socialmente responsabile) sulla finanza e sulla rendita.

Concretamente ciò significa che è necessario introdurre regole e condizioni per avvantaggiare l’economia reale rispetto all’economia finanziaria. È quanto chiede l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, organismo dell’ONU, anche allo scopo di ridurre le disuguaglianze, cresciute enormemente dopo la crisi economica e ancora di più nel corso della pandemia di Covid.

Le Nazioni Unite e il Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace” sono concordi: le istituzioni internazionali possono e debbono attuare interventi regolativi dei mercati finanziari globali, realizzando una “riregolazione” dopo la “deregolazione” degli anni Ottanta, al fine di ricostruire l’ordine economico finanziario internazionale, così come si era fatto al termine della seconda guerra mondiale. Solo in questo il modo si potrà rendere la globalizzazione un processo a vantaggio di tutti, migliorare le condizioni di lavoro nei Paesi emergenti e attuare una maggiore giustizia sociale a livello globale.

Centro studi Acli Marche – Gennaio 2022