Il danno e la beffa dell’emigrazione universitaria e sanitaria da sud a nord

Uno studio di SVIMEZ ha valutato gli effetti economici di breve periodo dell’emigrazione universitaria dal Sud al Centro-Nord.
Da tempo in tanti hanno colto la depauperazione intellettuale di capitale umano che il sud paga. La SVIMEZ ha calcolato a quanto ammonta il danno e la beffa sul versante dei minori consumi che tale emigrazione genera al Sud (nei luoghi di origine), privati, ma anche collettivi, riferiti al capitolo istruzione.
Ecco i numeri: un saldo netto di 157.000 unità (di cui solo 18000 sono studenti) che emigrano per motivi universitari, per un totale di 509.000 studenti meridionali nell’anno accademico 2016/2017, cioè lo 0,7% della popolazione residente meridionale. Puglia e Sicilia in testa con 40000 giovani emigrati; le piccole regioni quelle però più colpite in termini percentuali. Tale fenomeno genera al Sud una minore spesa dello Stato centrale da parte del MIUR di circa 1 miliardo di euro l’anno, minori consumi privati di circa 2 miliardi di euro, per un totale di 3 miliardi di euro in meno di flussi economici che depauperano il Mezzogiorno di Italia, oltre a svuotarlo demograficamente. Sarebbe interessante calcolare con il medesimo metodo i costi dell’emigrazione sanitaria, in merito alla quale andrebbero indagati anche altri aspetti, come il disagio del “turismo sanitario” e della insicurezza sociale di territori “sanitariamente fragili”. Così come è doveroso sottolineare che le risorse spese al Nord dagli “emigrati”, sono frutto della ricchezza meridionale.
Tali valutazioni, non devono ovviamente alimentare una cultura secessionista ma far riflettere sul grado effettivo di “assistenza” ed equità sul versante della spesa pubblica diretta e indiretta. Si potrebbe eccepire, ed è vero, che il Nord del Paese offre occasioni che altrimenti aumenterebbero il disagio e la perdita di speranze di migliaia di meridionali. Ma quale Paese vogliamo costruire e rilanciare se è vero che solo un Sud sviluppato puó rilanciare l’Italia nel mondo? Provocatoriamente mi chiederei, quale cultura della coesione sociale e territoriale implementiamo in un Paese dove si professa la tesi di aiutare gli immigrati stranieri a casa loro e poi si alimenta, di fatto, l’emigrazione interna, universitaria e sanitaria? Non converrebbe allora “aiutare a casa loro” i meridionali?

Gianluca Budano
Presidenza Nazionale ACLI