Il Natale: un mistero di impotenza dell’onnipotenza di Dio

Articolo di: Daniele Rocchetti, responsabile nazionale Vita cristiana Acli

Al tempo di Gesù i rabbini si chiedevano sconcertati come mai nel Salmo 23 il Signore fosse chiamato il “mio pastore”. Nel Midrash stava scritto infatti che “nessuna condizione al mondo è disprezzata come quella del pastore” ed era consigliato di non insegnare ai figli “il mestiere del pastore perché è un mestiere da ladro”. Sfruttati e malpagati, per lo più servi dei proprietari del gregge, i pastori si rifacevano rubando al padrone o ad altri come loro che accudivano pecore e capre. Vivendo per gran parte dell’anno isolati, senza altra compagnia che quella degli animali e senza alcuna sorveglianza, avevano una cattiva fama ed erano considerati dei selvaggi, dei bruti.

Come gli esattori del dazio (pubblicani, come Matteo), i pastori erano trattati con il massimo disprezzo; privati dei diritti civili, non potevano testimoniare ed erano considerati peggio delle bestie che accudivano. Se infatti di sabato si poteva tirare fuori un animale caduto in una fossa (Mt 12, 11), un pastore no: “Non si tirano fuori da un fosso, né i pagani né i pastori”. Era naturale dunque che, emarginati dalla società, essi fossero discriminati anche dalla religione.

Trascorrendo il tempo sempre tra gli animali, con scarse possibilità di accedere alla sinagoga o al Tempio, i pastori vivevano in una condizione di totale impurità e si pensava che per essi non ci fosse alcuna possibilità di salvezza. Inoltre, secondo la Legge ebraica, in caso di frode occorreva restituire il maltolto con l’aggiunta di un quinto (Lv 5, 21-24). L’impossibilità per i pastori di quantificare il furto e di restituire quel che avevano sottratto, rendeva loro impossibile ottenere il perdono dei peccati.

Ai pastori si rivolgono gli angeli del Natale

Il Vangelo che sentiremo risuonare la notte di Natale dice che è proprio per loro e per chi è come loro che il figlio di Dio è venuto al mondo. “Per voi è nato il Salvatore”, annuncia l’angelo. Fin dalla sua nascita Gesù si è venuto a trovare fra gli ultimi della società. Sono loro, non i “giusti”, che si attendono da Dio una parola di amore, di liberazione e di speranza. Cresciuto, Gesù continuerà a vivere accanto a queste persone: parlerà il loro linguaggio semplice, userà i paragoni, le parabole, le immagini prese da loro, parteciperà alle loro gioie e alle loro sofferenze, starà dalla loro parte contro chiunque li voglia emarginare.

I paradossi del Natale

Celebrare il Natale è dunque fare i conti con una vicenda, quella cristiana, che ribalta la concezione comune di centro e di periferia. Gesù nasce a Betlemme e sin dall’inizio ci sconcerta. Non ha dalla sua nessuno di quegli strumenti che noi riteniamo indispensabili per trasformare il mondo. Il segno dato ai pastori è quello di un cucciolo d’uomo, simile a tutti gli altri. La sua nascita rende evidente un Dio che sceglie la povertà e la debolezza, quasi un monito a quanti come noi sono tentati di credere nella logica della forza e del potere.

Santità disarmata

Per questo, come bene ha detto in un’omelia di Natale per la messa dell’Aurora don Giuseppe Dossetti: “L’unico punto di rinnovamento di tutte le profezie, e di adempimento, sta nella santità umile e povera, disarmata. L’impotenza sta invece nel voler vedere la realizzazione delle vie di Dio, sta nel vedere le cose in un modo trionfante, palpabile, vincitore: questa è la massima impotenza! Allora ci facciamo coraggio insieme e ci diciamo, tutti insieme, di pregare per la nostra fede perché accetti il mistero così com’è: deve essere accettato così com’è perché è un mistero d’impotenza nell’infinita onnipotenza di Dio”.

L’ultima parola è la tenerezza

Dunque, di nuovo Natale. Per dire a noi e agli uomini del nostro tempo che, nonostante tutto, l’ultima parola non appartiene all’interesse, al conflitto e alla dura lotta per la vita, ma alla tenerezza, alla gratuità, al volersi bene. In questo senso, il Bambino, messo dagli apocrifi tra il bue e l’asino nel presepe, non è solo l’inizio della vita, ma ne è il simbolo e la pienezza.

Auguri!