Il sangue dei martiri

FIACCOLATA PER ALEXEI NAVALNY IN CAMPIDOGLIO STATUA EQUESTRE MARCO AURELIO

Sulla morte annunciata di Alexei Navalny le parole più pregnanti, come sempre, sono venute dal Presidente Mattarella, che l’ha definita «un prezzo iniquo ed inaccettabile che riporta alla memoria i tempi più bui della storia, tempi che speravamo di non dover più rivivere».

Veramente non si può che rimanere ammirati dal coraggio di un uomo che, dopo essere scampato ad un avvelenamento più che sospetto, potendo scegliere di rimanere al sicuro all’estero ha deciso di tornare in Russia per testimoniare fino in fondo la sua volontà di mantenere accesa la fiammella della libertà e della democrazia in un contesto di crescente autoritarismo, sapendo che con ogni probabilità la sua sorte sarebbero state la prigione e la morte, come puntualmente è accaduto.

Sotto questo profilo, è del tutto irrilevante che la morte fisica di Navalny sia avvenuta per cause naturali o per un ennesimo atto di violenza: il dato di fatto è che non è ammissibile che una persona che si è sempre opposta con le parole e con gli scritti e mai con la forza al Governo del suo Paese, e che ha esercitato un diritto formalmente riconosciuto dalla Costituzione russa, quello di candidarsi alla Presidenza della Federazione, sia stato colpito per questo atto di lesa maestà da false accuse venendo condannato ad una pena sproporzionata da scontare in una prigione di massima sicurezza oltre il Circolo polare artico.

Come ebbe a dire David Sassoli nel dicembre 2022, un mese prima di morire, all’assegnazione del Premio Sacharov – che Navalny non poté ritirare perché già incarcerato- chi non rinuncia a lottare per i diritti e la libertà diventa «una fonte di ispirazione per tutti coloro che sognano una società migliore e più giusta», ed è il motivo per cui spesso i profeti disarmati fanno più paura di chi agisce con la violenza e la sopraffazione. Perché la loro testimonianza sposta il gioco dal campo della forza, che i detentori del potere conoscono fin troppo bene, a quello imponderabile della coscienza e della ragione, che magari non da riscontri immediati, ma lavora incessantemente, come il seme nascosto della parabola evangelica.

Ed è questo che Putin teme, come tutti i dittatori: che le coscienze si risveglino, che le menzogne del regime siano riconosciute come tali, che i cittadini trovino sempre meno accettabili i soprusi di un governo che non è in grado di garantire né la pace né il pane nascondendosi dietro la retorica patriottarda.

Il problema di fondo rimane quello della piena comprensione dei valori che stanno alla base della democrazia moderna, dei quali è impregnata anche la nostra Costituzione: il rispetto della persona umana, la sua centralità, la possibilità per essa di godere dei diritti naturali che le leggi dello Stato non istituiscono (perché sono insiti nella natura stessa delle persone) ma debbono riconoscere e proteggere.

È per questo che si sono battuti i dissidenti dell’era sovietica, a partire da Sacharov e Solgenicyn, e si battono oggi persone come Navalny, Anna Politkovskaja e Vladimir Kara-Murza, il collaboratore di Navalny che a sua volta è stato incarcerato e condannato a una pena spropositata.

Questo ci deve fare riflettere anche sulla nostra capacità di essere coscienza critica nelle nostre stesse società rispetto ai possibili abusi di potere, sapendo però distinguere fra Stati autenticamente democratici, pur con tutti i loro difetti, e Stati autoritari e dittatoriali.

Per quanto ci riguarda come ACLI, noi abbiamo fin dall’inizio partecipato al movimento per la pace riguardo alla guerra in Ucraina, ma nello stesso tempo abbiamo messo in chiaro fin dall’inizio che la Russia è l’aggressore, e che nella sua aggressione non indietreggia di fronte a nulla, come nel caso delle stragi di Bucha e Mariupol. Nello stesso tempo, sul quadrante mediorientale, ci è ben chiaro che Israele è uno Stato democratico e Hamas un’organizzazione terroristica che non fa il bene del popolo palestinese.

Proprio per questo alle democrazie è richiesto un di più di responsabilità e di lungimiranza sui problemi della pace e della giustizia, che deve accompagnarsi ad una difesa intransigente dei valori democratici a livello globale, privilegiando la strada del confronto e del dialogo a quella delle armi, sapendo che tale strada non esime dal dire la verità e dal chiamare il bene ed il male con il loro nome.

Un antico apologeta cristiano, Tertulliano, scrisse che “il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”: laicamente si può dire che dal sacrificio di persone come Navalny, Politkovskaja ed altri, uccisi dalla paura e dalla cattiva coscienza dei tiranni, può sorgere la speranza di una Russia libera e democratica in cui non si debba pagare con la prigione o con la vita il libero pensiero e la libera parola.

Questa speranza deve accompagnare il nostro impegno quotidiano, sapendo che questo impegno deve essere qualcosa di più di uno slogan ripetuto o di una partecipazione ad una manifestazione, ma un richiamo quotidiano a quei valori che impegnano la vita intera e che in certi casi, come ha dimostrato Navalny, la vita intera richiedono.

Emiliano Manfredonia, Presidente nazionale delle Acli

 

*Articolo pubblicato su Famigliacristiana.it del 23.02.2024