Il Tavolo Asilo e Immigrazione contesta la dichiarazione di Italia, Grecia, Cipro e Malta sui flussi migratori nel Mediterraneo e il ruolo delle ONG

Come organizzazioni della società civile riunite nel Tavolo Asilo e Immigrazione desideriamo commentare quanto contenuto nella dichiarazione congiunta dei ministri dell’interno di Italia, Malta e Cipro e al ministro della migrazione e dell’asilo della Grecia, pubblicata lo scorso 12 novembre, e largamente ripreso dal ministro dell’interno Matteo Piantedosi, durante la sua informativa alle Camere.

In tale dichiarazione si afferma che i quattro stati mediterranei, principale punto di approdo dei flussi che attraversano il Mediterraneo Centrale e Orientale, “rispettano tutti gli obblighi internazionali e le norme dell’UE” nella gestione di tali flussi, e che hanno “sempre sostenuto con forza la necessità di sviluppare una nuova politica europea in materia di migrazione e asilo”. Si continua accusando le “navi private” di non rispettare la cornice giuridica internazionale riguardante le operazioni di search and rescue, e ribadendo una presunta responsabilità degli stati di bandiera.

Respingiamo con decisione quanto espresso nella nota, e in particolare affermiamo quanto segue:

  • Le operazioni effettuate dalle navi di salvataggio sono ancorate ai principi del diritto internazionale, e in particolare applicano la Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare-SOLAS del 1974, ratificata dall’Italia con la legge n. 313 del 1980; la Convenzione SAR di Amburgo del 1979, resa esecutiva dall’Italia con la legge n. 147 del 1989 e alla quale è stata data attuazione con il P.R. n. 662 del 1994; la Convenzione UNCLOS delle Nazioni Unite sul diritto del mare, stipulata a Montego Bay nel 1982 e recepita dall’Italia dalla legge n. 689 del 1994), nonché le risoluzioni del Comitato di Sicurezza Marittima dell’IMO (MSC) continuamente aggiornate e direttamente efficaci per tutti gli Stati aderenti1. Non sembra casuale che la dichiarazione congiunta non si addentri specificando concretamente quale norma del diritto internazionale verrebbe violata dalle navi di salvataggio, non essendocene, di fatto, alcuna.
  • Esiste ormai una giurisprudenza consolidata che afferma questi stessi principi. In particolare, le sentenze dei Tribunali di Agrigento, Palermo, Trapani e Catania degli ultimi anni, che hanno in alcuni casi ritenuto di non dover procedere penalmente contro diverse ONG che avevano correttamente operato i salvataggi in mare senza violare alcuna norma, ed in altri riconoscendo persino la sussistenza di esimenti quali la legittima difesa o lo stato di necessità alla base dei comportamenti dalle stesse. A ciò si aggiunge la nota sentenza della Corte di Cassazione del 16 gennaio 2020 con la quale la Suprema Corte ha confermato l’ordinanza del GIP del Tribunale di Agrigento di non convalidare l’arresto di Carola Rackete affermando come non si possa ritenere che “l’attività di salvataggio dei naufraghi si fosse esaurita con il loro recupero a bordo della nave. L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “place of safety”)”.
  • Negli ultimi sei anni la magistratura, pur impegnata in diversi contenziosi a carico di ONG che effettuano soccorsi in mare, non ha mai trovato alcun riscontro di quanto affermato dai ministri del nostro paese circa le tesi infamanti e calunniose di accordi con i trafficanti libici al fine di trasferire in Europa i
  • I quattro stati firmatari della dichiarazione stanno al contrario contravvenendo al principio di non-refoulement come sancito dall’art.33 della Convenzione di Ginevra (in proposito, come è noto, l’Italia è già stata condannata dalla CEDU per aver attuato illegittimamente respingimenti collettivi nella nota sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia), dall’art.19 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE e dall’art.4 Protocollo n° 4 della CEDU, nonché dall’art. 10 comma 3 della nostra Costituzione. È sufficiente ricordare che Malta semplicemente non risponde alle richieste di individuazione di un porto sicuro da parte delle navi che effettuano salvataggi negando non solo lo sbarco ma anche il coordinamento dei soccorsi. Ed anche l’Italia quando riceve le segnalazioni di natanti in difficoltà nel Mediterraneo centrale dalle ONG presenti, omette di assumere il coordinamento, anche in presenza di un rifiuto di assumere la responsabilità da parte di altri RCC. È opportuno precisare che tali sistematici comportamenti ingiustificati, in presenza di offese alla vita umana, possono costituire
  • Sembra difficile affermare che i quattro stati firmatari si siano sempre adoperati per una politica europea basata sui principi di solidarietà. L’unica reale opportunità per modificare la situazione attualmente vigente ed alleggerire le responsabilità degli stati costieri è la modifica del Regolamento di Dublino. Giova allora rammentare che la riforma di tale regolamento, elaborata dal Parlamento Europeo già nel 2017 e più favorevole agli stati frontalieri, fu affossata grazie ai voti contrari di Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca, governi vicini all’attuale Presidente del Consiglio Meloni e al suo partito, e all’astensione della Lega, i cui rappresentanti non parteciparono a nessuna delle 22 riunioni di negoziato sul testo. Il meccanismo di redistribuzione dei richiedenti asilo, di cui si discute ormai dal 2015, incontra da sempre l’opposizione dei succitati stati dell’Europa Orientale ed è inefficace perché resta vincolato alla volontarietà degli stati che dovrebbero accogliere le persone da ricollocare. Ma vale la pena ricordare che, sulla base dei dati ufficiali (UNHCR, Eurostat), in Italia i rifugiati accolti sono appena lo 0,2% sulla popolazione residente, in coda a Svezia, Germania, Grecia, Francia, Danimarca, Paesi Bassi.
  • È del tutto scorretto affermare che gli Stati di bandiera abbiano la responsabilità di far sbarcare sul loro territorio i sopravvissuti salvati dalle loro navi, così come che debbano accogliere le domande di asilo. Non esiste nessuna norma nel diritto internazionale, né nel diritto interno degli Stati, che preveda che il capitano di una nave debba accogliere le domande di asilo dei naufraghi soccorsi, mentre è chiaro, dalle fonti testé citate, che il porto di sbarco debba essere il primo porto sicuro

Inoltre, l’utilizzo ripetuto del termine “navi private”, che sembra indicare soggetti che si muovono contro gli interessi pubblici per perseguire fini particolaristici, finisce solo col segnalare chiaramente il fallimento della politica italiana ed europea, che ha da anni abdicato al proprio dovere di soccorso, lasciandone nei fatti la responsabilità alle organizzazioni umanitarie e alle navi mercantili che si trovino a intercettare natanti in difficoltà. La presenza delle ONG nel Mediterraneo Centrale denuncia ogni giorno il disinteresse dei Governi Europei per la sorte di bambini, donne e uomini in fuga. Esseri umani in cerca di protezione.

A Buon Diritto, ACAT Italia, ACLI, ActionAid, ARCI, ASGI, CGIL, CIES, CNCA, Europasilo, Focus-Casa dei Diritti Sociali, Fondazione MIGRANTES, Legambiente, Medici Del Mondo, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Oxfam Italia, Refugees Welcome Italia, SenzaConfine, SIMM, UNIRE

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