In caso di decesso, la colf in gravidanza si può licenziare

Ho assunto un’assistente familiare per mia nonna che era già non autosufficiente ed è peggiorata negli ultimi tre mesi, tanto che è venuta a mancare due giorni fa. L’assistente familiare che avevamo assunto per vivere con lei ci aveva già comunicato da qualche mese, di essere incinta. Come devo comportarmi con l’assistente familiare? Posso licenziarla?

L’art. 24 comma 3, del Ccnl dei lavoratori domestici e familiari prevede che “Dall’inizio della gravidanza, purché intervenuta nel corso del rapporto di lavoro, e fino alla cessazione del congedo di maternità, la lavoratrice non può essere licenziata, salvo che per giusta causa.

Per i rapporti di lavoro disciplinati dal CCNL quindi, il divieto di licenziamento, inizia a decorrere dall’inizio della gravidanza fino alla cessazione del congedo obbligatorio.

Sul tema del licenziamento della collaboratrice domestica in stato di gravidanza, per la morte del datore di lavoro, non esiste una norma specifica, e deve quindi farsi riferimento alle norme generali e ai criteri di equità, evincibili dal Dlgs 151/2001 recante norme sulla tutela della maternità.

Tale legge prevede espressamente l’esclusione dal rapporto di lavoro domestico di alcune norme, ma può indubbiamente servire a fornire dei criteri interpretativi utili nei casi non espressamente previsti. In particolare, l’art. 54 del Dlgs 151/2001 prevede le ipotesi in cui il divieto non si applica, trattandosi di ipotesi in cui la prestazione lavorativa della lavoratrice non è oggettivamente proseguibile:

– colpa grave ( o il CCNL parla di giusta causa);

– scadenza del termine o ultimazione della prestazione;

– esito negativo della prova;

– cessazione dell’attività aziendale;

Tale ultima ipotesi appare assimilabile per analogia a quella di “morte del datore di lavoro o dell’assistito” in quanto contempla un’ipotesi concettualmente analoga: in entrambi i casi la prestazione lavorativa non trova più ragion d’essere perché non è materialmente proseguibile e quindi viene meno in radice ogni “rischio” di discriminazione della lavoratrice in gravidanza, che è lo specifico scopo della norma.

In definitiva in caso di decesso del datore di lavoro o della persona assistita (a seconda della persona cui è diretta la prestazione lavorativa) si potrà liberamente procedere al licenziamento della lavoratrice, che comunque potrà fare domanda di assegno di maternità se in possesso dei requisiti previsti dalla legge per goderne.

L’INPS riconosce il diritto all’indennità di maternità, se risultano versati, o dovuti:

-52 settimane negli ultimi 24 mesi che precedono l’inizio della astensione obbligatoria;

-26 settimane negli ultimi 12 mesi  che precedono l’inizio della astensione obbligatoria;

Il diritto all’indennità di maternità, spetta indipendentemente dall’effettivo godimento, al momento della domanda di prestazione, di un rapporto di lavoro essendo sufficiente il rispetto di tali requisiti.

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