La dignità violata

Parlare di festa dei lavoratori oggi sembra un ossimoro perché esiste una brutta frattura tra chi ha un lavoro e chi non lo ha, tra chi  ha un lavoro retribuito giustamente e chi no,  chi ne ha uno sicuro e chi no. Quella frattura sociale che  le Acli denunciano da tempo e che è alla base di due ricerche sociali:  “lavoro Dispari” incentrata sul gender gap e “lavoro Pari” dedicata agli working poors,  elaborate entrambe sui dati dei redditi degli italiani, cui Avvenire ha dedicato largo spazio, e che ci dicono che molti nostri concittadini e concittadine non riescono oggi ad avere i mezzi necessari per vivere una vita “libera e dignitosa” come afferma la nostra Costituzione (art.36).

La diffusione della povertà fra i lavoratori e fra le loro famiglie è da ricondursi a vari fattori: non solo alla crisi economica e pandemica, ma anche al minor numero di ore lavorate, alla precarietà dell’occupazione, all’impiego di manodopera poco qualificata, specie nelle piccole imprese, come d’altra parte alle scelte di aziende dotate di forte potere di mercato che decidono di scaricare il contenimento dei costi soprattutto sui salari dei lavoratori. Il lavoro povero si concentra maggiormente in alcuni settori caratterizzati da minore valore aggiunto, minore produttività e quindi livelli retributivi mediamente più bassi.

Nel secolo scorso il lavoro era luogo e mezzo attraverso cui ci si sottraeva allo sfruttamento e all’oppressione. Il nostro Giovanni Bianchi diceva che il lavoro era luogo “teologico” proprio perché luogo liberante della personalità, delle capacità dell’uomo e quindi anche della sua testimonianza di cristiano e di cittadino.

Oggi si vive molto spesso il lavoro come luogo del ricatto, del non appagamento, della frustrazione; è anche in questo modo che si vede la dignità violata nel lavoro. Dignità violata ogni volta che un ragazzo non sa che strada professionale  prendere (e qui andrebbe aperto un discorso serio sul rapporto fra scuola, formazione professionale e mondo del lavoro) ; ogni volta che i soldi contano più dei meriti; quando, nonostante i sacrifici, non viene riconosciuta la giusta retribuzione; quando si accettano condizioni precarie e usuranti; quando si perde un lavoro e non si è sufficientemente sostenuti e orientati per riscattarsi.  Lo stesso fenomeno dello smart working, nato come filosofia di armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro basato sulla volontarietà, anche a causa della pandemia rischia di diventare insieme fattore di maggiore sfruttamento e di isolamento sociale.

L’elenco è lungo e i nostri dati ci confermano  che il mondo femminile e quello giovanile sono i più colpiti dal fenomeno dei salari bassi e quindi dei lavori precari. C’è un rischio enorme che riguarda la tenuta del sistema di welfare del nostro paese, con il concreto pericolo di mortificare intere generazioni, di offuscarne le energie migliori, le capacità più innovative, di soffocarne le idee e fresche più dirompenti.

Quello che raccontano i dati e i volti, le storie che ascoltano persone come noi, che abbiamo fatto del mondo del lavoro la nostra missione, ci sollecitano a denunciare e fare proposte concrete per uscire da una spirale negativa alimentata da scelte politiche insieme miopi ed affrettate, o solo condite da effetti propagandistici.

Come movimento di lavoratori cristiani vogliamo testimoniare che insieme dobbiamo cercare di ridare dignità al lavoro: come mezzo di sostentamento, come servizio alla comunità, come relazione tra uomini e donne del nostro tempo, come luogo di libertà e di edificazione, come luogo privilegiato di collaborazione dell’umanità.

Il lavoro come tempo di crescita, il lavoro che ci aiuta a conciliare i tempi di vita, il lavoro incubatore del vigore giovanile, luogo dove si impara il sostegno reciproco.

Il lavoro che ci allena ad una dimensione di fraternità globale e di ricerca di giustizia sociale, il lavoro che cerca nuove vie di sviluppo equo e sostenibile, il lavoro che non alimenta scarti, il lavoro che accoglie chi fugge da guerre e disperazione, il lavoro che promuove la cultura, la collaborazione internazionale, il lavoro luogo di testimonianza cristiana. Per questa speranza, questa idea alta di lavoro, idea scolpita da 75 anni nella nostra Costituzione, possiamo affermare che vale ancora la pena festeggiare.

Che sia la festa del lavoro dignitoso in un mondo in cerca di Pace.*

 

Emiliano Manfredonia, Presidente nazionale ACLI

 

Articolo pubblicato su Avvenire del 30 aprile 2023