La nonviolenza e la scelta del contadino che obiettò a Hitler

Articolo di: Daniele Rocchetti, responsabile nazionale Vita cristiana Acli

 

“Auguro pace ad ogni uomo, donna, bambino e bambina e prego affinché l’immagine e la somiglianza di Dio in ogni persona ci consentano di riconoscerci a vicenda come doni sacri dotati di una dignità immensa. Soprattutto nelle situazioni di conflitto, rispettiamo questa «dignità più profonda» e facciamo della nonviolenza attiva il nostro stile di vita”. Così inizia il messaggio che papa Francesco ha scritto per la 50ª Giornata Mondiale della Pace che celebreremo l’1 gennaio prossimo.

 

Lo slogan scelto è “La nonviolenza: stile di una politica per la pace”. Uno slogan che certo sarebbe piaciuto ad un uomo, Franz Jägerstätter, sepolto in un cimitero posto fuori la chiesa di St. Radegund, un piccolo paese non distante da Braunau sull’Inn, il comune  austriaco dove, nel 1889, nacque Adolf Hitler. Ogni volta che sosto davanti alla lapide di Jägerstätter penso a questa vicinanza perché Franz venne decapitato dai nazisti il 9 agosto del 1943.

 

Retta coscienza e fedeltà al Vangelo

 

Accogliamo la richiesta del nostro fratello Ludwig Schwarz, vescovo di Linz e di molti altri fratelli vescovi come pure di molti credenti e dopo aver raccolto il parere della Congregazione per la proclamazione dei Beati e dei Santi, concediamo per mezzo della nostra Autorità Apostolica, che l’adorabile servo di Dio Franz Jägerstätter martire, padre di famiglia, sia d’ora in poi acclamato come Beato. Ha offerto la sua vita in commovente abnegazione, con retta coscienza nella fedeltà al Vangelo e per la dignità della persona umana. La sua festa può essere celebrata annualmente il 21 maggio, giorno del suo battesimo, nei luoghi e nei modi previsti dal diritto. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Così il Decreto Apostolico di papa Benedetto XVI che riconosce il valore di questo solitario contadino che, in ascolto della coscienza e della Parola di Dio, maturò la sua ferma opposizione al nazionalsocialismo. Non è stato sempre così.

 

Franz nasce il 20 maggio del 1907. Il giorno successivo  viene battezzato nella chiesa parrocchiale di Sankt Radegund. All’età di vent’anni Franz va via dal paese per lavorare nelle miniere in Stiria, nell’Austria orientale. Lo spinge la ricerca di lavoro ma anche, quasi sicuramente, la vicenda di una relazione con una ragazza alla quale nel 1933 nasce una bambina, Hildegard. Franz non può sposarla ma resterà sempre molto legato alla figlia naturale. Dopo pochi anni ritorna a casa.

 

Nel 1936 sposa Franziska Schwaninger. Il matrimonio segna una svolta nella vita di Franz. Se fino ad allora il suo cristianesimo era stato – come capitava spesso nella zona – molto tradizionale e di facciata, ora si dedica con attenzione alla crescita spirituale. Franziska anima suo marito alla lettura della Bibbia e alla preghiera in comune. A partire dalle sue nozze Franz si accosta spesso all’Eucaristia. Franz mantiene la famiglia (che, nei primi quattro anni di matrimonio, si è arricchita di tre bambine) coltivando i campi della sua fattoria. Nel tempo libero fa il sacrestano nella chiesetta di St. Radegund.

 

Il 1938 è un anno decisivo per lui: l’Austria viene invasa dalla Germania e annessa al Terzo Reich. Il 18 marzo viene pubblicato un documento dell’episcopato di Vienna che loda le conquiste del nazionalsocialismo e invita i fedeli a votare a favore dell’annessione. Il 99,08% degli austriaci si dichiara – come dice il testo del referendum – “solidale con il nostro Führer Adolf Hitler e nello stesso tempo con la riunione dell’Austria alla Germania”. Franz è l’unico del suo piccolo paese a votare no. 

 

In seguito raccontò più volte che nel 1938 in sogno fu messo in guardia sui rischi del nazionalsocialismo. “Era quasi mezzanotte, mi trovavo nel letto senza dormire, benché non fossi malato e dovessi già essermi addormentato per un po’. Ad un tratto mi venne mostrato un bel treno che girava attorno ad una montagna. Oltre agli adulti c’era anche un gran numero di ragazzi che accorreva per salire sul treno e non si riusciva quasi a fermarli. (Del fatto che ci fossero pochi adulti che non facevano parte della compagnia preferisco non parlarne o scrivere). Poi improvvisamente una voce mi disse: ‘Questo treno conduce all’inferno’. E subito ebbi l’impressione che qualcuno mi prendesse per mano.’E adesso noi andiamo in purgatorio’, mi disse la stessa voce. Qui ciò che io ho visto e sperimentato come sofferenza è terribile, e se questa voce non mi avesse detto che andavamo nel purgatorio, non avrei potuto credere che di trovarmi all’inferno. E’ probabile che siano passati solo pochi secondi, durante i quali io ho visto tutto ciò. Poi sentii ancora un rumore sordo, vidi una luce e tutto scomparve. Svegliai subito mia moglie e le raccontai tutto quanto era accaduto. Prima di quella notte non avevo naturalmente mai potuto pensare veramente che le sofferenze del purgatorio potessero essere così. All’inizio questo treno che correva mi risultava piuttosto misterioso, ma più passava il tempo più si svelava anche il suo significato. Ed oggi mi sembra che questo quadro non rappresenti altro che il nazionalsocialismo che a quel tempo irrompeva violentemente o si introduceva di soppiatto con tutte le sue articolate strutture …”.

 

Dopo l’annessione dell’Austria rifiutò qualsiasi forma di collaborazione con il regime nazista, così come pure respinse ogni possibile vantaggio conseguente. “Proviamo a chiederci se l’Austria e la Baviera non abbiano alcuna colpa del fatto che invece di un governo cristiano ne abbiamo uno nazionalsocialista. Il nazionalsocialismo è caduto dal cielo? Io credo, e su questo punto non c’è bisogno di spendere molte parole, che chi nel marzo 1938 non dormiva sa bene come è andata allora. Io credo che non sia andata diversamente dal giovedì santo di oltre 1900 anni fa, quando il popolo ebraico ha potuto liberamente scegliere tra Cristo, il Salvatore senza colpa, e Barabba, il malfattore: anche allora i farisei avevano distribuito denaro tra il popolo per ingannare e intimidire coloro che stavano ancora con Cristo. Quali e quante nefandezze sono state raccontate e inventate anche da noi nel marzo 1938 contro un cancelliere dai sentimenti cristiani e contro la spiritualità dei credenti?”.

 

Non si può essere nazisti e cristiani allo stesso tempo

 

L’1 settembre del 1939 inizia la seconda guerra mondiale con l’aggressione alla Polonia. Una settimana dopo, i tedeschi sono alle porte di Varsavia. I vescovi austriaci, che avevano fatto suonare le campane per festeggiare l’ingresso delle truppe nazionalsocialiste nella capitale polacca, pubblicano una lettera pastorale: “In quest’ora decisiva incoraggiamo ed esortiamo i nostri soldati cattolici, in obbedienza al Führer a compiere il loro dovere e ad essere pronti a sacrificare tutto di sé stessi. Esortiamo i fedeli ad unirsi in una ardente preghiera affinché la Provvidenza divina conduca questa guerra a una fine benedetta e assicuri la pace alla patria e al popolo”.

 

Franz viene a conoscenza, a poco a poco, delle atrocità del nazionalsocialismo; la sua politica carica di sprezzo per Dio e per l’uomo lo induce ad opporsi al regime. Nel 1940/41 Franz presta servizio militare come autiere nella Wehrmacht. Con un altro soldato entra l’8 dicembre 1940 nel Terzo ordine francescano. Su sollecitazione dell’amministrazione comunale di St. Radegund viene dichiarato per due volte indispensabile, perché prosegua il suo lavoro di contadino. Nonostante la forte pressione degli amici e dei conoscenti, tra cui anche sacerdoti, decide per un’opposizione inflessibile al regime.

 

Prega e digiuna, medita la Sacra Scrittura e giunge alla conclusione: “Nessuna autorità terrena può sottomettere la coscienza”. La forza di decidere secondo coscienza la sente sempre più come grazia, per la quale era riconoscente. Di fronte ad una chiesa connivente con il regime nazista, scrive: “Credo che la fede cristiana, nel nostro paese, non andrebbe poi tanto peggio se non ci fosse più una chiesa aperta e a migliaia avessero sacrificato il proprio sangue e la vita per Cristo e la fede, piuttosto che starsene a guardare in silenzio”. Ed ancora: “Forse erano poco preparati ad accollarsi questa lotta e a decidersi se vivere o morire … Per questo ci si può facilmente immaginare la difficile decisione davanti alla quale stavano i nostri vescovi e preti nel marzo 1938. I nostri vescovi devono aver forse creduto che sarebbe durato poco e poi tutto si sarebbe frantumato e che con la loro accondiscendenza avrebbero potuto risparmiare ai fedeli martiri e pene. Ma è andata diversamente, sono passati molti anni ed ora migliaia di uomini devono morire per questo errore”.

 

Testimone del Vangelo fino alla fine

 

Il 22 febbraio 1943 (giorno in cui, a Monaco di Baviera, vengono decapitati i fratelli Scholl, fondatori della Rosa Bianca) in conseguenza della nuova chiamata alle armi si rifiuta di andare in guerra per Hitler e viene arrestato e imprigionato a Linz. Seguono due mesi di arresto, torture e umiliazioni. Quando si sente abbandonato dalla forza della fede, si ricorda della gioia provata nel matrimonio con la moglie Franziska e interpreta questa gioia come un segno duraturo della presenza di Dio.

 

All’inizio di maggio viene trasferito nel carcere di Tegel presso Berlino (lo stesso dove è rinchiuso Dietrich Bonhoeffer). La sua domanda di prestare servizio nella sanità viene respinta. Il 6 luglio è condannato a morte. Il cappellano del carcere gli racconta di altri condannati a morte, tra cui del padre pallottino Franz Reinisch; questo gli dà coraggio e consolazione.

 

Franz e la moglie Franziska si sentivano uniti alle sofferenze di Cristo e questo fornì loro nuove forze. Nella cella del carcere confidava: “Non solo nel Cristo umiliato e sofferente del venerdì santo, ma anche nel vincitore della morte della mattina di Pasqua”. Come scrive in una lettera: “… Non spaventarsi davanti ad alcun martirio e, se deve essere, donare anche la propria vita”. Attende così consapevolmente l’incontro con il Dio dell’Amore al quale voleva presentarsi riconciliato.

 

Il 9 agosto 1943 Franz Jägerstätter viene condotto da Berlino a Brandenburg e là, alle 16, decapitato sul patibolo. Il sacerdote Albert Jochmann, che lo accompagnò, subito dopo l’esecuzione dichiarò: “Oggi ho incontrato l’unico santo della mia vita”.  Come dice la Petitio: “Franz Jägerstätter per la decisa condotta della sua vita e per il suo martirio è un profeta dalla visione lungimirante e profonda. E’ un esempio della fedeltà alle istanze della coscienza, un peroratore della causa della non violenza e della pace, un monito vivente di fronte a ideologie distruttive. Attraverso una coscienza formata e generosa pronunciò un No deciso all’idolatria del nazionalsocialismo. Come testimone delle Beatitudini evangeliche fornisce un volto alla Buona Novella dell’amore di Dio e del prossimo. Per queste ragioni il vescovo di Linz prega il Santo Padre di accogliere il servitore di Dio Franz Jägerstätter nella schiera dei Beati”.

 

Cosa resta di Franz Jägerstätter?

 

Franz può essere definito come un “resistente” al nazismo, un semplice contadino che rappresenta uno dei pochissimi testimoni che in terra tedesca, abbia osato opporsi al regime hitleriano. La sua è una storia non “etichettabile”, vissuta in totale solitudine, del tutto staccata da qualsiasi movimento di opposizione interna al nazismo. La scelta e la vita di Franz sono riferibili ad una radicalità evangelica che non ammette repliche, anzi provoca ed interroga. Non è senza significato che il suo parroco Josef Karobath, dopo la discussione decisiva nel 1943, pochi giorni prima della chiamata all’arruolamento, abbia scritto: “Mi ha lasciato ammutolito, perché aveva le argomentazioni migliori. Lo volevamo far desistere ma ci ha sempre sconfitti citando le Scritture”. “In Franz c’è una serenità, anche se mediata e sofferta, di adesione al pieno significato del messaggio evangelico: in lui la coerenza diventa fattore distintivo, non per preconcetti ideologici o per un astratto pacifismo, ma perché si lascia condurre dalla concreta e vissuta adesione ai valori, ai significati, alle esigenze di ciò in cui crede” (Girardi).

 

Nella vicenda umana e religiosa di Franz Jägerstätter emerge con forza il primato della coscienza, vero faro per il comportamento di un semplice laico cristiano. Senza eccedere a posizioni eterodosse, Franz si pone in fermo ascolto di ciò che “gli sembra giusto”. Lo fa con enorme sofferenza, perché deve andare contro ciò che ha di più caro, la famiglia, contro molti pastori della Chiesa, contro i suoi concittadini, di cui “sente” la disapprovazione, lui a cui era stato chiesto di diventare sindaco. Il suo ascolto non è improvvisato. Franz studia la Bibbia, legge i documenti della Chiesa, si confronta con persone di cui ha fiducia, prega molto, medita, digiuna. Si sottopone ad un percorso di formazione della coscienza, pur nelle condizioni proibitive di quegli anni.

 

L’atteggiamento etico di Franz fa leva sulle “cose ultime”, le cerca e le desidera. Non le pone sullo sfondo del proprio agire, ma le fa diventare determinanti per decisioni e comportamenti. Anche davanti alla moglie, nei 20 minuti di colloquio concesso in carcere, a Berlino, poche settimane prima dell’epilogo, ricorda che ciò che li attende è il Cielo e “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me” (Mt 10,37).

 

La testimonianza di Franz si fonda su un altissimo senso della dignità della persona, sul valore della coscienza, sull’importanza della responsabilità individuale anche di fronte alle scelte collettive. Essa ricorda inoltre il sacrificio di coloro che hanno lottato contro le barbarie dei regimi totalitari. Come ha detto papa Benedetto XVI nella sua visita nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, quando aveva ricordato quanti nella Germania di Hitler si erano opposti al regime nazista ed erano considerati allora come “il rifiuto della nazione”: “Ora però noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia. Con profondo rispetto e gratitudine ci inchiniamo davanti a tutti coloro che, come i tre giovani di fronte alla minaccia della fornace babilonese, hanno saputo rispondere: ‘Solo il nostro Dio può salvarci. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto'”.