Lo scandalo dell’accordo Ue-Turchia sui migranti

epa08275971 Greek riot police and army forces amidst tear gas used by the Turkish side at the closed-off Greek-Turkish border in Kastanies, Orestiada, Greece, 07 March 2020. Tension escalated in Kastanies, Evros, wehre migrants try to enter the EU, with the use of smoke grenades that created a heavy pall of smoke over the horizon along the fence. EPA/DIMITRIS TOSIDIS

Il dramma dei migranti in fuga da guerra e miseria continua a mietere le sue vittime nel Mediterraneo e in Europa. Dopo che la maggior parte dei Paesi si era tranquillizzata perché la propria sovranità e i propri confini erano salvi, esternalizzando – a pagamento – le frontiere, l’UE è di nuovo in preda all’incapacità di darsi politiche e strategie comuni per affrontare una delle crisi umanitarie più lunghe e drammatiche del nuovo secolo.

Per circa 4 anni, l’accordo con la Turchia è sembrato funzionare. Se l’obiettivo principale era quello di far diminuire i flussi migratori vero l’Europa – non importa come -, non c’è dubbio che questo fosse stato raggiunto, visto che negli ultimi anni il flusso di migranti via mare e via terra era di molto diminuito, passando da circa un milione di persone arrivate fra il 2015 e il 2016 alle 159mila dal 2017 al 2019.

Erdogan ora ricatta l’Europa, aprendo di nuovo i suoi confini. Lui parla di centinaia di migliaia di persone. Ad oggi sono ancora decine di migliaia. Ma diversi osservatori temono che la situazione possa a breve peggiorare e che si possa rivivere il dramma di circa un milione di richiedenti asilo che nel 2015 partì dalla Turchia per arrivare in Europa attraverso la rotta balcanica. È un film che abbiamo già visto, con la sua progressione di violenza, l’aumento di numero di morti, di maltrattamenti e brutalità.

A Lesbo la situazione è diventata ingestibile: molti gli abitanti che protestano per la decisione di costruire un nuovo centro per migranti sull’isola. Alcuni autoctoni hanno tentato di impedire lo sbarco di un gommone di migranti, altri ancora hanno addirittura dato fuoco a una delle strutture predisposte dall’agenzia ONU per i rifugiati.

Sulla rotta terrestre lungo il fiume Evros, dove da giorni sono accampati molti migranti, la situazione non è migliore. Le temperature sono rigide e c’è pochissima possibilità di essere assistiti perché si tratta di luoghi impervi dove arrivano solo poche associazioni nazionali e dove gli aiuti internazionali sono ancora sporadici.

La rotta Turchia/Europa venne interrotta dall’accordo molto controverso che l’UE fece col governo turco per fermare il flusso di migranti. Furono versati ben 6 miliardi di euro affinché la Turchia sorvegliasse la frontiera con la Grecia e costruisse strutture idonee per ospitare i 3,5 milioni di profughi siriani.

L’accordo era politicamente e, dal punto di vista dei diritti umani, giuridicamente molto discutibile. In primis perché era stato approvato mediante una semplice «dichiarazione congiunta», e poi perché ci sono molti dubbi sul rispetto delle leggi internazionali in materia di asilo. Poco importa il motivo. Sta di fatto che Erdogan tiene sotto scacco l’Europa, sia in termini economici, sia in termini politici, la quale subisce una doppia beffa: ha pagato diversi miliardi che potevano essere utilizzati per tutt’altro (o anche per la causa dell’immigrazione gestita in maniera diversa) e ora – sotto ricatto – deve pure gestire un flusso di migranti che si sarebbe potuto governare con ordine, in un’ottica di accoglienza e integrazione.

La scelta fatta dai Paesi UE di sottoscrivere quell’accordo di esternalizzazione delle frontiere con il governo turco si è rivelata dunque non solo sbagliata – come le Acli hanno più volte sottolineato -, ma è stata anche un boomerang.

È ragionevole chiedere perciò a Davide Sassoli, in qualità di presidente del Parlamento europeo e a tutti i parlamentari UE di non ripetere i due stessi errori del 2016: l’uno di abbandonare a se stesse le persone in fuga da guerra e sofferenze, l’altro di stipulare accordi con un Paese che non intende rispettare i più elementari diritti umani.

Ciò ha creato una macchia nella storia dell’Europa a cui la Storia (con la esse maiuscola) chiederà spiegazioni. Queste due azioni non hanno portato a nulla, se non ad un generale arretramento di tutti i diritti internazionali che l’Europa con fatica ha elaborato negli anni e il cui scopo non era certo solo quello di enunciarli, ma di metterli in pratica, ogni volta che fosse stato necessario.

Le notizie e le foto dei migranti in fila ai confini greci e bulgari, quelle di persone che impediscono ai profughi di toccare il suolo europeo, la morte di molte persone (fra cui minori), la decisione, da parte del governo greco, di sospendere le richieste di asilo, sono la rappresentazione di inammissibili violazioni del principio del diritto internazionale del non respingimento dei richiedenti asilo e rifugiati e del diritto d’asilo previsto dalle Costituzioni e dalla Carta di Nizza sui diritti fondamentali nell’UE.

La Grecia è in difficoltà e noi italiani lo sappiamo bene cosa significa rimanere soli. Per questo l’Europa deve agire. E lo deve fare in modo diverso, rispetto al 2016.

Dobbiamo provare a percorrere un’altra strada. Quella che l’Europa proclama sin dalla sua costituzione, la via dell’apertura, dell’accoglienza e del rispetto dei diritti dell’uomo. L’opera lungimirante del parlamento europeo può trovare una soluzione di medio-lungo periodo, capace di fermare le sofferenze delle persone stipate ai confini dell’Europa e ogni atto di violenza e razzismo nei loro confronti.

Dobbiamo chiedere all’Unione Europea di non negare la sua storia di democrazia e civiltà giuridica e di fare la sua parte. Da troppo tempo vi ha rinunciato, erigendo muri, aumentando i rimpatri, alimentando indirettamente il business degli scafisti.

Il Parlamento europeo può intervenire subito, abbandonando l’immobilismo che per anni l’ha bloccato, rendendo irriconoscibili i tratti peculiari dell’Europa. Ciò ai sensi di quanto prevede il Trattato sul funzionamento dell’Unione (art. 78.3) mettendo in atto un piano di ricollocazione straordinario e immediato dei richiedenti asilo che arrivano in Grecia e Bulgaria, per togliere alla violenza e all’arbitrio tutte quelle persone che hanno diritto ad essere accolte e a chiedere asilo in Europa.

Tale piano dovrà prevedere quote equilibrate e procedure veloci. Inoltre, non dovrà applicare gli stessi erronei requisiti del 2015 legati alla nazionalità, onde scongiurare ogni inutile discriminazione e portare a termine una nuova strategia di accoglienza.

Il nostro Paese può essere fiero di esportare il modello dello SPRAR e quello dei corridoi umanitari. Due modelli italiani che, benché non perfetti, funzionano e che, con la collaborazione e specificità di tutti i Paesi dell’Unione, possono invertire la rotta di un’Europa da troppo tempo in crisi di umanità e fratellanza. Si tratta di favorire un modello di accoglienza in cui, istituzioni e società civile, siano chiamati a precisi obblighi e compiti. In Europa c’è posto. La situazione non consente di accumulare ulteriore ritardo. È opportuno che la Commissione Europea e i singoli Governi assumano nel tempo più breve possibile le loro responsabilità, mettendo in atto un piano di accoglienza straordinario e lungimirante per governare la storia senza subirla.

Antonio Russo

Consigliere di Presidenza Acli con delega all’immigrazione

L’APPELLO ALL’EUROPARLAMENTO