Non una Chiesa che va in chiesa, ma una Chiesa che va a tutti. Il magistero del vescovo Derio

Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla vita cristiana 

Foto: il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero 

 

“Da un’ora respiro da solo. Quasi. Magari ce la faccio. Il Signore e Maria hanno fatto il miracolo insieme ai medici ed infermieri”. Così la sera di Pasquetta il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, tramite un messaggio whatsapp comunicava alla diocesi la buona notizia riguardo la sua salute. Il mese prima aveva contratto il coronavirus e le sue condizioni erano apparse critiche sin dal primo momento. Dopo essere stato intubato per più di dieci giorni, il Venerdì Santo ha subito la tracheotomia e dopo, finalmente, i primi segnali di ripresa. Fino alla completa guarigione e al ritorno a casa.  

È il tempo delle relazioni 

Come tutti i Vescovi, in vista della ripresa delle celebrazioni con le comunità ha scritto ai suoi preti e diaconi. “Vi comunico che sono ancora molto fragile e debole; per cui vi chiedo scusa se sono ancora un po’ lento nel lavoro…”: così inizia la sua lettera nella quale decreta che, per varie ragioni, nella sua diocesi le celebrazioni delle messe con il popolo sarebbero riprese una settimana dopo la data concordata per il resto del Paese. 

Una lettera molto bella in cui, in forma accorata, ha chiesto ai suoi preti di essere vicini alle comunità. 

So che molti lo stanno facendo. Altri si sono fatti sentire in mille modi: streaming, con messaggi, telefonando, visitando i malati, portando la comunione (con le debite attenzioni), confessando. Purtroppo alcuni non hanno fatto nulla. Amici, questo è il tempo delle relazioni; questo è il tempo in cui i cristiani, e noi ministri per primi, dobbiamo costruire relazioni per aiutare la fatica della gente. Vi chiedo con fermezza di prendere il telefono e occupare questi giorni a telefonare ripetutamente, semplicemente per dire: “Ti penso, ti ricordo nella preghiera, ti porto in cuore”. Un sacerdote non può presiedere l’Eucaristia se non cura le relazioni. Altrimenti l’Eucaristia diventa artificiosa e formale (tanto più con queste norme). Questa è una cosa seria. Se vengo a sapere che in qualche parrocchia non si farà nulla in questa direzione (cura delle relazioni e attenzione ai poveri), in tale parrocchia posticiperò ulteriormente l’inizio della celebrazione della Messa con il popolo.” 

Un nuovo inizio è possibile 

Dopo qualche giorno, il vescovo Derio ha scritto alla sua gente con una franchezza insolita negli ambienti ecclesiali: 

In questi giorni si è acceso un dibattito sulle messe: aprire o aspettare ancora? In realtà la vita di tutti ci sta dicendo di pensare a cose più urgenti: il dolore di chi ha perso un famigliare, senza neppure poterlo salutare; l’angoscia di chi ha perso il lavoro e fatica ad arrivare a fine mese; il peso di chi ha tenuto chiuso un’attività per tutto questo tempo e non sa come e se riaprirà; i ragazzi e i giovani che non hanno potuto seguire lezioni regolari a scuola; i genitori che devono con fatica prendersi cura dei figli rimasti a casa tutto il giorno; la ripresa economica con un impoverimento generale… 

Con coraggio affronta la questione del nuovo inizio. Mettendo in guardia dall’ingenuità di credere che tutto possa tornare presto come prima. 

La questione serissima è: “Non è una parentesi!”. Vorrei che l’epidemia finisse domani mattina e la crisi economica domani sera. Ma non sarà così. In ogni caso questo periodo di pandemia e di crisi non è una semplice parentesi. Molti pensano: “Questa parentesi si è aperta ad inizio marzo, si chiuderà e torneremo alla società e alla Chiesa di prima”. No. È una bestemmia, un’ingenuità, una follia. Questo tempo parla, ci parla. Questo tempo urla. Ci suggerisce di cambiare. La società che ci sta alle spalle non era la “migliore delle società possibili”. Era una società fondata sull’individuo. Bene, questo è il tempo per sognare qualcosa di nuovo”. 

Anche per la Chiesa 

Poi, con coraggio,il vescovo Derio parla del nuovo inizio anche per la comunità cristiana. Dicendo, anzitutto, che non basta tornare a celebrare per pensare di aver risolto tutto. Perché ciò che è accaduto non è una parentesi, neanche per la Chiesa. 

Non dobbiamo tornare alla Chiesa di prima. O iniziamo a cambiare la Chiesa in questi mesi o resterà invariata per i prossimi 20 anni. Per favore ascoltiamo con attenzione ciò che ci sussurra questo tempo e ciò che meravigliosamente ci dice Papa Francesco. 

Vi ricordate cosa dicevamo fino a fine febbraio? In ogni incontro ci lamentavamo che la gente non viene più a Messa, i bambini del catechismo non vengono più a Messa, i giovani non vengono più a Messa. Vi ricordate? Ed ora pensiamo di risolvere tutto celebrando nuovamente la Messa con il popolo? 

Io credo all’importanza della Messa. Quando celebro mi “immergo”, ci metto il cuore, rinasco, mi rigenero. So che è “culmine e fonte” della vita del credente. E sogno dall’8 di marzo di poter avere la forza per tornare a presiedere un’Eucarestia. Ma in modo netto e chiaro vi dico che non voglio più una Chiesa che si limiti a dire cosa dovete fare, cosa dovete credere e cosa dovete celebrare, dimenticando la cura le relazioni all’interno e all’esterno. 

Abbiamo bisogno di riscoprire la bellezza delle relazioni all’interno, tra catechisti, animatori, collaboratori e praticanti. Abbiamo bisogno di creare in parrocchia un luogo dove sia bello trovarsi, dove si possa dire: “Qui si respira un clima di comunità, che bello trovarci!”. E all’esterno, con quelli che non frequentano o compaiono qualche volta per “far dire una messa”, far celebrare un battesimo o un funerale. 

Sogno cristiani che amano i non praticanti, gli agnostici, gli atei, i credenti di altre confessioni e di altre religioni. Questo è il vero cristiano. Sogno cristiani che non si ritengono tali perché vanno a Messa tutte le domeniche (cosa ottima), ma cristiani che sanno nutrire la propria spiritualità con momenti di riflessione sulla Parola, con attimi di silenzio, momenti di stupore di fronte alla bellezza delle montagne o di un fiore, momenti di preghiera in famiglia, un caffè offerto con gentilezza. 

Non cristiani “devoti” (in modo individualistico, intimistico, astratto, ideologico), ma credenti che credono in Dio per nutrire la propria vita e per riuscire a credere alla vita nella buona e nella cattiva sorte. 

Non comunità chiuse, ripiegate su se stesse e sulla propria organizzazione, ma comunità aperte, umili, cariche di speranza; comunità che contagiano con propria passione e fiducia. Non una Chiesa che va in chiesa, ma una Chiesa che va a tutti. Carica di entusiasmo, passione, speranza, affetto. Credenti così riprenderanno voglia di andare in chiesa. Di andare a Messa, per nutrirsi. Altrimenti si continuerà a sprecare il cibo nutriente dell’Eucarestia. Guai a chi spreca il pane quotidiano (lo dicevano già i nostri nonni). Guai a chi spreca il “cibo” dell’Eucarestia. Solo con questa fame potremo riscoprire la fortuna della Messa. E solo in questo modo riscopriremo la voglia di diventare un regalo per gli altri, per l’intera società degli umani.” 

Parole di vita, parole di speranza, parole di Vangelo.
Grazie vescovo Derio.