Il rancore, il lavoro e una piramide più lunga

ROME, ITALY - JULY 28: Anger and sadness during the Protest against compulsory vaccination in Piazza Montecitorio during the final vote of Decree Law on Vaccines at the Chamber of Deputies,on July 28, 2017 in Rome, Italy. Amid a rise in measles cases in 2017 Italy\'s lawmakers have made vaccinations mandatory for children at school registration. The vaccinations are to help protect children from birth to age 16 from 12 diseases including measles, mumps, polio, rubella, tetanus and whooping cough. (Photo by Simona Granati - Corbis/Corbis via Getty Images)

L’ultimo rapporto del Censis ha certificato l’ingresso ufficiale del rancore tra le categorie che caratterizzano la vita sociale italiana. Di certo, non è una grande conquista. Ma come uscire dal “ciclo del rancore”?

Per esempio occupandosi di una delle radici del rancore, cioè il blocco della mobilità sociale unito alla paura del declassamento verso il basso. Si tratta di un evidente retaggio della recentissima crisi economica, che ha avuto tra gli effetti più deleteri proprio quelli sul mercato del lavoro. Alcune categorie si sono ridotte: nel periodo 2011-2016 i dirigenti e gli imprenditori sono diminuiti del 10%, gli operai e gli artigiani dell’11%; più contenuta la riduzione degli impiegati e delle professioni tecniche. Alcune categorie si sono invece sviluppate: le professioni intellettuali (+11,4%), le professioni legate alla vendita e ai servizi personali (più del 10%), come anche il personale non qualificato, con un aumento pari quasi al 12%.

Proprio a quest’ultima fascia appartengono gli addetti allo spostamento e alla consegna delle merci. Questo dato conferma come in questi anni si sia progressivamente affermata la delivery economy nell’ambito delle attività terziarie. Ma complessivamente la ricomposizione della piramide professionale ha prodotto una sorta di allungamento, aumentando le distanze tra l’area non qualificata e il vertice.
Una prima conseguenza di questo nuovo scenario è stata la percezione da parte dei giovani del restringimento del perimetro delle opportunità, accentuato dalla permanenza nell’occupazione delle classi più anziane, che si è tradotto in una minore propensione alla scelta della libera professione. Se tra il 2006 e il 2016 il numero complessivo dei liberi professionisti è aumentato del 26,2%, quelli con meno di 40 anni sono diminuiti del 4,4% (circa 20.000 in meno). La quota di giovani professionisti sul totale è scesa al 31,3%: 10 punti in meno in dieci anni.
È una questione sulla quale ragionare. Siccome, scrive il Censis, non bastano le parole per sciogliere i grumi rancorosi, allora serve che entri in gioco il fluidificante sociale per eccellenza, ossia la concreta possibilità di migliorare la propria condizione di partenza e realizzare i propri progetti di vita. La mobilità è un fluidificante. Ma non si trova già bell’e pronta: deriva dal buon funzionamento di una serie di processi. Individuarli e ipotizzare delle soluzioni sarebbe utile anche in campagna elettorale.