Salvini e gli ossequi formali alla fede. Un Sinodo per camminare verso una maturità del laicato italiano

A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana

Un amico prete che stimo molto mi manda un messaggio nel quale, tra le altre cose, dice: “Ho appena finito di guardare per intero sul canale Youtube della Lega le due ore di video dell’adunanza tenuta da Matteo Salvini in piazza Duomo sabato scorso, per potermene fare un’idea consapevole e non basata sul sentito dire o sui posti apparsi sui social, che già mi avevano inquietato. Ebbene, l’inquietudine è diventata seria preoccupazione. Chi mi conosce sa che non faccio politica dal pulpito, ma dal momento che in un passaggio del suo discorso Salvini ha espressamente diffidato noi preti dal farlo, mi sale il desiderio di disubbidirgli e di esprimere il mio pensiero, con rispetto e libertà, tanto per fugare ogni dubbio che il silenzio potrebbe alimentare: io non sto dalla sua parte! E non mi importa, anzi mi infastidisce, che nel suo discorso citi Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, il cardinal Sarah, tutti e sei i Santi Patroni d’Europa, la statua della Madonnina e il Cuore Immacolato di Maria, la quale credo proprio abbia di meglio da fare che condurre lui e i suoi alla vittoria! Non basta questo paravento religioso a nascondere né a giustificare la sfilata di nazionalistiche ha raccolto attorno a sé, con il loro coro di “noi” prima di e contro di “loro”! Io non ci sto!”

I credenti sedotti dall’”uomo forte”

Eppure non è solo la baldanza di Salvini che nel contesto di quell’incontro ha di nuovo ripetuto di “molti frati, suore, missionari, vescovi e cardinali” che gli scrivono dicendo: “mi raccomando Salvini tenete duro”. È la consapevolezza – presunta da tanti discorsi sentiti all’ombra dei campanili e confermata dai sondaggi di opinione – che una parte, consistente, del cattolicesimo italiano stia vivendo una forma di seduzione nei confronti dell’uomo forte che gridando in modo chiaro e deciso difende i “valori cattolici” altrimenti ignorati. Poco importa che la difesa dei crocefissi di legno sia accompagnata dal rifiuto dei crocefissi di carne, né, tantomeno, che si colga la strumentalizzazione in atto della fede cristiana. Non è la prima volta che succede, a dire di un deficit di pensiero e di metodo che pare appartenere strutturalmente alle comunità cristiane del nostro Paese.

Una proposta: un Sinodo della Chiesa italiana

Per questo credo sia importante l’ipotesi suggerita da papa Francesco nell’intervento di apertura dell’Assemblea della conferenza episcopale di un Sinodo della Chiesa italiana. Ne aveva già parlato padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, in un articolo dello scorso 2 febbraio. “Che dunque stia maturando il tempo per un sinodo della chiesa italiana?”, scriveva. Quel che serve è “contrastare le ‘tendenze alla regressione della storia’” e “fare la nostra parte per costruire il paese come ‘comunità di vita’, curando le ferite dei legami spezzati e della fiducia tradita. E questo potrà avvenire solamente grazie a un largo coinvolgimento del popolo di Dio, in un processo sinodale non ristretto né alle élite del pensiero cattolico né ai contesti di formazione”.

Un Sinodo dove interrogarsi su quale Vangelo abbiamo raccontato e trasmesso negli ultimi decenni se in Italia trovano sempre più forza e sviluppo movimenti che, oltre ad esprimere una rappresentanza a mondi significativi e ad intercettare domande e bisogni a lungo inevasi dalla politica, hanno scelto il linguaggio, violento e razzista, dell’esclusione e si sono nutriti con voluttà della cultura del sospetto e dell’intolleranza. Un Sinodo dove chiedersi le ragioni per le quali la soglia dell’indignazione nei confronti di parole e slogan che negano dignità alle persone venga sempre più abbassata. Un Sinodo che ricordi, ancora una volta e con forza, che dopo l’incarnazione la grande basilica dove i cristiani trovano le tracce del Dio di Gesù è il mondo.

La politica, una delle testimonianze più alte della fede cristiana. La mediazione

La storia è il luogo teologico dove Dio si fa trovare. E dunque l’impegno politico è una delle testimonianze più alte e importanti della fede cristiana. Un Sinodo dove ribadire con forza il valore della laicità della politica e il senso della mediazione. Il cristiano deve fare politica – sapere e prassi che ha leggi e valori specifici che non possono venire posti a lato – partendo dai “valori” solo se pratica buone mediazioni, che siano incarnazione dei principi o dei valori attraverso l’azione. In caso contrario si condanna o al tradimento dei valori oppure all’inefficacia politica. Direi perciò che la costruzione della mediazione è il modo politico di mettere in pratica la necessaria coerenza con i “valori”. Solo in questo modo si evita la strumentalizzazione che lucidamente Giuseppe Lazzati definiva così:

È facile per noi cattolici chiamare cristiana la politica per atti di ossequio formale da essa resi alla religione: ma purtroppo sotto il velo di questa apparenza può vivere un ordinamento politico che, per la sua difformità dal fine naturale proprio della politica stessa, è grave ostacolo a che la parola di Dio corra nel mondo a salvezza di molti” (G. Lazzati, La spiritualità dell’uomo politico, in Pensare politicamente II, p. 121)

Un sinodo per abilitarci al discernimento. Lo sappiamo: noi cristiani non siamo “altro” dalla società in cui viviamo. Eppure c’è una “differenza” che bisogna laicamente marcare. Il cammino della nostra Chiesa bergamasca negli ultimi decenni ci ha invitato ad una svolta antropologica della pastorale che suppone un giudizio della nostra epoca e un riapprendimento del linguaggio cristiano a partire da una rinnovata concezione della parola di Dio.

Per questo è necessario un continuo discernimento che ci obbliga, a dirla con Bonhoeffer, a leggere insieme la Bibbia e il giornale, o, con Paolo Giuntella, il Concilio e la Costituzione. Per questo è importante far crescere, e non zittire, un ethos ecclesiale in grado di abilitare ad un confronto, vivace e dialettico, all’interno delle nostre comunità perché troppo spesso si prende atto della diversità senza che si dia luogo ad un dialogo che aiuti a maturare conclusioni condivise; a coniugare sempre la carità con la giustizia, ad avere cura dei poveri e, insieme, chiedersi le ragioni per le quali, nel terzo millennio, ci sono ancora, e sempre più, esclusi ed emarginati; a dare spazio alla formazione di laici competenti e preparati a gestire le sorti delle nostre comunità, alla ricerca di quel bene comune più grande perfino del bene particolare della Chiesa, a zittire quanti sostengono una cultura “anti-politica” che fertilizza il campo dell’assenteismo e del disinteresse e recinta ferocemente il perimetro degli interessi personali o di gruppo.

Ne va della Chiesa e dei cristiani del prossimo futuro. Ne va dell’umano sparso nel mondo. Più grande della Chiesa, più numeroso dei cristiani.