“Sorrisi e mascherine” di Erica

Oggi sono conciata proprio bene. Mi stringe un : quindi la sistemo meglio. Infilo gli occhiali, il cappotto ed esco. Oggi è giornata di spesa. Sono giorni che scarico app, visito siti, faccio telefonate per evitare questo momento. La spesa è un incubo. Non è mai piacevole: carrelli, monetine che non si trovano, elenchi fatti e dimenticati sul tavolo di cucina, scaffali troppo pieni, per i miei gusti, e saltafila che arrivano a numeri improponibili. 
Oggi è ancora peggio: la fila comincia fuori. Prendo il mio numero e aspetto. Comincia a far freddo e tira vento; una pioggia sottile ha cominciato a scendere fitta fitta e mi sto bagnando: del resto non prendo mai l’ombrello!!! Quindi ho tolto gli occhiali che sposto sopra la testa… ovviamente ho dimenticato anche la custodia. Del resto cercare le cose nella borsa è improponibile.
Oggi ho anche un leggero raffreddore. Come bisogna fare? Alzare il gomito e starnutirci dentro. Speriamo che non mi capiti. Niente è più normale. Mantenere la distanza, lavarsi le mani con il gel, infilare i guanti. Ecco cosa devo comperareMeno male che mi sono ricordata: i guanti sono un bene preziosissimo … anche l’alcool è introvabile. E se ti scappa un colpo di tosse o uno starnuto si fa il vuoto.
Il respiro è affannoso. Il vento si fa sempre più invadente. Per fortuna ormai manca poco. Il prossimo scaglionamento è il mio. Intanto il tempo passa: sono ormai quasi trenta minuti che aspetto. Finalmente! Ci siamo. Sono dentro. Infilo i guanti monouso e prendo il carrello. Il caldo umido del reparto ortofrutta e il respiro trattenuto fanno appannare gli occhiali che rigorosamente infilo per leggere l’elenco su due colonne della spesa settimanale per noi e per mio papà che, novantenne, si fa la sua più lunga vacanza in casa scandendo le giornate in modo rigoroso tra lavoretti e computer.
Distanza rigorosa un metro? Dietro a me una signora ormai anziana che, forse per abitudine continua ad andare di fretta, si accalca impaziente per pesare il suo etto di insalatina, mentre io ho accumulato almeno dieci sacchetti – formato sei persone da nutrire – dentro il carrello che, già vedo, non sarà l’unico. 
Faccio le acrobazie per tenere i guanti al loro posto, rimettere in sesto gli elastici che premono contro le stanghette degli occhiali, la lista della spesa che cerco di infilare nella tasca del cappotto, la borsa che oscilla dalla spalla e il collo che, per poter vedere, è costretto ad uno sforzo innaturale.
Non mi si dica che va tutto bene! penso. Non va bene per niente. Questa fatica, che è tutta dentro, mi sta sfiancando. Come potrò abituarmi? Mi guardo attorno e cerco un contatto: uno qualsiasi che non sia incattivito o preoccupato! Cerco occhi felici e mi scontro con occhi affannosi che evitano. 
Poi lo vedo. Un bambino che avrà poco più di un anno. Seduto sul carrellcerca di afferrare un barattolo di marmellata: penso, sarà il colore che lo attrae? In effetti le luci ad effetto lo rendono traslucido ed appetitoso. Penso sia sua madre, una giovane ragazza, non lo guarda, mentre sceglie i biscotti per la prossima colazione. Lui si allunga e si sporge pericolosamente fuori dal seggiolino argento e rosso. 
Io mi avvicino e con le mani gli faccio: Attento! Non ti sporgere troppo. Lui mi guarda sospettoso e si rimette a sedere. Io non resisto e abbasso la mascherina, che per quanto carnevalesca non mi fa ridere, e gli faccio un sorriso. Lui continua a fissarmi incuriosito. Allora rimetto la mascherina e mi nascondo dentro, tutta dentro! Poi la riabbasso e lo cerco. E lui ride. 
Oggi questo sorriso, puro, spontaneo, sincero e allegro mi rimette al mondo! Sua madre si gira e lo guarda felice. Mentre i loro sguardi si avvinghiano espandono, in questo mondo ferito di prodotti e consumi frettolosi, un profumo di felicità che dà la misura dell’eternità e dell’umanità. Questo gorgoglio infantile ha fermato tutto e rimesso al giusto posto ogni preoccupazione e reso un utile servizio alla mia straziante mascherina!