Affitto casa: Contratto libero o concordato?

Ho ereditato da mia madre, defunta lo scorso 20 ottobre, un appartamento a Roma. L’appartamento adesso è completamente vuoto, anche perché io, con mia moglie, vivo da tutt’altra parte. Avrei quindi pensato di affittarlo, solo che non ho ancora capito in che modo. Potreste darmi voi qualche indicazione utile?

Il primo nodo da sciogliere riguarda certamente la tipologia di contratto: libero o concordato? Un contratto registrato in regime di libero mercato sarà certamente più remunerativo di un contratto concordato (o concertato). In altre parole, locatore e inquilino devono sedersi a un tavolo e decidere di comune accordo su che cifra concludere, senza nessun condizionamento esterno se non appunto quello del mercato.

Viceversa col canone concordato questo tipo di approccio è impossibile. Più nello specifico, la forma concordata agisce in virtù di precisi accordi locali appositamente siglati fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale. Tali accordi sono appunto applicabili esclusivamente nei Comuni con carenze di disponibilità abitative, ai sensi del Dl 551/1988 (si tratta in pratica di città come Bari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia, ecc.), e nei Comuni ad alta tensione abitativa il cui elenco, redatto dal Cipe, è scaricabile dal sito del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti.

Quanto alla durata, il contratto concordato prevede la nota formula del 3+2, cioè un minimo di tre anni, rinnovabili tacitamente con altri due, mentre la formula libera prevede il 4+4.

È invece sotto l’aspetto fiscale che il contratto concordato si fa più conveniente. Non solo, ma è una convenienza che agisce contemporaneamente su due fronti: sia quello del possessore che quello dell’inquilino. Dal punto di vista del possessore, ipotizzando di scegliere la tassazione ordinaria anziché la cedolare secca, il 3+2 presuppone, oltre all’ordinaria deduzione del 5%, un’ulteriore deduzione del 30% sul reddito imponibile.

In pratica, ogni qualvolta si sceglie la tassazione ordinaria, il reddito del fabbricato, cioè il canone percepito annualmente, viene decurtato del 5%. Inoltre, l’opzione della formula concordata, assicura che dal 95% del canone soggetto a tassazione venga tolto un’ulteriore quota del 30%. Nel caso invece sia stata scelta la cedolare secca, il reddito verrebbe assoggettato a tassazione per intero, ma con aliquota agevolata al 10% anziché al 21 (quest’ultima applicata al 4+4).

Dal lato inquilino, invece, la registrazione del 3+2 assicura una detrazione più corposa in ambito di 730. Com’è noto, esistono diverse forme di detrazione sulle spese di affitto, regolabili a seconda della condizione dell’inquilino. In particolare, la detrazione goduta dagli inquilini titolari di contratti a canone concordato (ovviamente in rapporto alla loro quota di titolarità) è pari a 496 euro, in luogo dei 300 previsti col 4+4, a condizione che il reddito complessivo non superi la soglia di 15.493,71 euro, mentre si abbassa a 248 euro, anziché 150, se il reddito complessivo è superiore a 15.493,71 euro, ma non alla soglia di 30.987,41 euro.

Il discorso, infine, andrebbe esteso ai benefici Imu/Tasi. Dal 2016, infatti, la nuova Legge di Stabilità ha introdotto uno sconto obbligatorio del 25% sulle imposte applicate agli immobili locati in regime di canone concordato, che per altro potrebbero anche godere di aliquote più leggere rispetto a quelle destinate alle abitazioni vuote o locate a canone libero. La convenienza fiscale, insomma, comunque la si metta, verte sulla sponda del regime concordato.

 

Per informazioni: www.caf.acli.it