IV domenica del tempo ordinario

Domenica – 29 gennaio 2017 – Anno A
Parola del giorno: Sof 2,3; 3, 12-13; Sal 145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12a

DAL VANGELO SECONDO MATTEO (5,1-12a)

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

COMMENTO AL VANGELO
a cura di don Flavio Luciano, accompagnatore spirituale Acli Cuneo

“Il cristiano è un “beato”, ha in sé la gioia del Vangelo”. Parole chiare di Francesco, proclamate nel 2015 a Firenze durante il Convegno della Chiesa italiana. La proposta del Vangelo ha il sapore della libertà e della felicità e lo si dovrebbe vedere nel volto di chi crede, eppure spesso non è così. Forse perché non crediamo veramente che “nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino”, il suo cammino, per quella pace e quella gioia che solo Lui può dare.

Immagino Gesù non pensasse molto alla sua felicità, ma credo che a chi lo incontrava trasmetteva pace e serenità profonda. Gli evangelisti ci raccontano di un Gesù che vive per rendere felici le persone e ridare alla gente la salute e la dignità che le erano state tolte ingiustamente. Non cercava il proprio interesse e non voleva essere felice senza gli altri, soprattutto i più poveri. Credeva in un “Dio felice” che ama i suoi figli e le sue figlie. In un Dio “papà” che invita tutti noi ad “assomigliarli”, cioè a vivere anche noi sentendoci responsabili della felicità e del benessere degli altri.  

Per assomigliare a questo Dio la prima condizione è essere “povero in spirito”, come ci dice Matteo nella sua prima beatitudine che riassume un po’ tutte le altre. Un’espressione che racchiude in sé la ricchezza del lungo insegnamento della Bibbia, richiama varie espressioni bibliche come “poveri di cuore” e ricorda l’esperienza degli Anawim e di tante altre categorie economiche e sociali di “poveri”.

Matteo scrive in e con una comunità dove la maggioranza sono poveri economicamente, e sottolinea che, anche se il Padre li guarda con un amore speciale, la semplice condizione di povertà può anche non bastare per accogliere la proposta di Gesù. Per Matteo i poveri sono beati se lo sono anche nel cuore. E’ beato non semplicemente chi è povero materialmente, ma chi lo è ed è capace di nutrire un cuore che non desidera essere ricco. Se siamo con una vita “piena e soddisfatta”, se ci riteniamo non bisognosi e autosufficienti, non incontreremo mai Gesù veramente.  

Il Vangelo accoglie solo il povero che accetta questa dimensione fondamentale della nostra vita umana, che è la povertà e la fragilità. La nostra indigenza, accettata, è la nostra grande potenzialità, perché ci permette di incontrare Gesù e sperimentare la forza e la bellezza della sua Parola e del suo Regno.

Poveri, come diceva don Tonino Bello, si diventa, è frutto di un cammino, di scelte, per mettersi nella condizione di povertà e con i poveri, eliminare le cause della povertà che tanto fanno soffrire.

Ognuno di noi è invitato ad una vita più sobria ed essenziale e, nel nostro caso, ad abbassare il livello di vita per permettere a quelli che l’hanno troppo basso di innalzarlo. In una parola, sentirsi responsabili della felicità e del benessere degli altri non attraverso l’elemosina ma attraverso la condivisione e la solidarietà.