Nativi Precari

Molti dei giovani nati negli ultimi venti o trent’anni hanno visto e vissuto storie di disoccupazione, di precarietà, di instabilità. A partire da quelle vissute dai loro genitori o dai loro fratelli maggiori. Sono quelli che una recente ricerca delle Acli descrive come “nativi precari”, cioè giovani nati in famiglie nelle quali i genitori hanno perso stabilità lavorativa, reddituale, di status. Gianfranco Zucca, che ha curato questa ricerca assieme a un gruppo di ricercatori sociali, ha messo in luce alcuni aspetti interessanti. Qui ci limitiamo a citarne due e a fare un breve commento.

Il primo aspetto è il lavoro in deroga, cioè la disponibilità mostrata dal campione degli intervistati a accettare un lavoro anche se questo sospende alcune tutele. Si tratta di una sorta di adattamento perché “tanto il mondo del lavoro funziona così”. Non si tratta della gavetta che tutti hanno più o meno passato, ma dell’accettare accordi al ribasso, concessioni, rinunce e sacrifici anche ai propri diritti in cambio di una promessa: un posto di lavoro pienamente tutelato. Questi giovani disposti anche a sacrificare tempi, tutele e retribuzione rischiano di costituire una base sociale per una economia della promessa che potrebbe garantire una flessibilità fuori controllo. In questo scenario sembra ormai del tutto persa la battaglia per la domenica come giorno di festa. Effetto collaterale.

Secondo aspetto. L’idea di economia della promessa fa il paio con la trappola della passione. Il giovane lavoratore accetta di differire il premio –la promessa– perché è fortemente motivato, è la meta centrale della sua vita, della sua identità, del suo status: il coronamento di un sogno. È una trappola perché per raggiungere il sogno si minimizzano gli aspetti che si sacrificano o si perdono. È una trappola perché molti lavori non hanno una vera e propria carriera oppure perché la carriera esiste ma ha altri percorsi.

Entrambi gli aspetti ci chiedono di rileggere il significato del lavoro nei giovani, il senso e le aspirazioni che a esso si connettono: in una parola, lo spirito. La questione materiale – nel nostro paese – è trovare un lavoro per tutti, d’accordo. Ma non dobbiamo sottovalutare che c’è anche quanto l’articolo 4 della Costituzione definisce in termini di questione spirituale, e che non ha esattamente a che fare con Dio ma con le condizioni che sostengono e tutelano dignitosamente un impegno personale e familiare. Materiale e spirituale, due facce del lavoro che meritano la stessa attenzione.

Roberto Rossini