Alzheimer: se seicentomila vi sembrano pochi

L’Alzheimer è una malattia che, per la sua diffusione e peculiarità, ha sul nostro Paese un notevole impatto sociale ed economico.

L’Adi (Alzheimer’s Disease International) ha stimato nel mondo un nuovo caso di Alzheimer ogni 3,2 secondi, mentre in Italia sono oggi affetti da Alzheimer circa 600mila persone. E c’è da immaginare che il processo di invecchiamento che sta investendo pesantemente il nostro Paese non aiuterà a diminuire tale fenomeno.

E’ stato il dottor Alois Alzheimer a diagnosticare per primo questa patologia (1901) che si sostanzia in un processo degenerativo delle cellule cerebrali. Tale demenza cancella alcuni tratti della mente, mentre ne lascia intonsi altri, anche se solo piccoli brandelli di vita ricordati in modo più o meno lucido. Con l’avanzare della patologia, poi, il malato prova sempre maggiore confusione, mostrando irritabilità, aggressività, sbalzi d’umore e difficoltà di linguaggio, fino a diventare una persona completamente diversa da quella che era. “Le persone affette da demenza vagano nel tempo come nomadi sospesi tra il passato e il futuro, senza né un inizio, né una fine”, sostiene Alex Ten Apel, un fotografo che ci ha passato molto tempo e che, forte della sua esperienza, aggiunge: “questa malattia mostra l’esistenza umana senza filtri: straziante, fragile e delicata in tutti i suoi dettagli. Ci sono molte più somiglianze che differenze con le nostre vite di quanto si possa pensare. Tutti proviamo tristezza, gioia, paura e disperazione. I malati di Alzheimer provano le stesse nostre emozioni, la differenza è che questi sentimenti li confondono e ci confondono”.

Le conseguenze, dunque, di questa patologia sono pesanti sulla persona malata, ma anche sui suoi familiari.Secondo il rapporto Censis Aima del 2016  (Impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer), il caregiver dedica al malato mediamente 4,4 ore al giorno di assistenza diretta e quasi 11 ore di sorveglianza; questo è il motivo per cui il 40% di essi non lavora (pur essendo in età lavorativa). Coloro che lavorano, invece, segnalano importanti cambiamenti nella loro vita lavorativa, soprattutto per le ripetute assenze (37,2%). Un altro dato preoccupante è che quasi un terzo delle donne occupate è stato costretto a chiedere il part-time. Questo particolare impegno incide sulla salute dei familiari, soprattutto su quella delle donne: oltre l’80% lamenta forte stanchezza, il 63,2% non dorme a sufficienza, il 45,3% afferma di soffrire di depressione e il 26,1% si ammala spesso. Vi è poi l’impatto psicologico che l’Alzheimer ha sui familiari. Per molti questa è una malattia da tenere nascosta, di cui vergognarsi, a cui non si dà il suo vero nome. Per molti altri, è difficile da assorbire da un punto di vista emotivo: vivere con una persona che, per i tanti e repentini cambiamenti, non è più quella a cui si era abituati, a cui ci si era affidati, è fonte di forte disorientamento.

Oltre a queste difficoltà,le famiglie devono anche sostenere un peso economico non indifferente: i costi diretti per l’assistenza superano ormai gli 11 miliardi di euro, di cui ben il 73% è a carico delle famiglie. Più in particolare, il costo medio annuo per paziente supera i 70.000 euro, considerati i costi a carico del SSN, quelli che pesano direttamente sulle famiglie e quelli indiretti (i mancati redditi da lavoro, ecc.).

Come affermato da Antonio Russo, in occasione della giornata mondiale Alzheimer 2016, tre sono, allora, le parole d’ordine per accompagnare i malati di Alzheimer e le loro famiglie:

Prevenzione. Meno della metà degli intervistati (47,7%) afferma di aver reagito prontamente alla comparsa delle prime avvisaglie della malattia e la maggioranza di essi (63,1%) asserisce di aver ricevuto la diagnosi da un professionista diverso dal primo consultato. Resta il fatto che il 47,2% si è rivolto ad un medico di medicina generale, il 33,1% ad uno specialista pubblico e il 13,6% ad uno specialista privato, mentre solo il 6,1% si è rivolto immediatamente ad una UVA (Unità di Valutazione Alzheimer). Comunque, altra nota dolente, il tempo medio per arrivare ad una diagnosi resta elevato: 1,8 anni. Occorre quindi tenere viva l’attenzione, avviando a livello nazionale e locale,  campagne di sensibilizzazione efficaci su questo tema.

Informazione. Avere un punto fisso e affidabile a cui potersi rivolgere per approfondire e conoscere i diversi aspetti dell’Alzheimer è fondamentale al fine di capire quali sono i servizi attivi e come intervenire senza perdere tempo ed energie, a favore delle persone affette da questo morbo, ma anche dei loro familiari. Dare attenzione a quest’ultimi vuol dire “ti sento vicino”, vuol dire “proviamo insieme a trovare delle soluzioni”, vuol dire sostanzialmente “non sei solo”.

Sostegno. Sempre secondo il rapporto Censis-Aima, mentre nel 2006 i pazienti seguiti da un UVA o da un centro pubblico erano il 66,6%, oggi solo il 56,6% fa affidamento su queste strutture. Ma non si è solo abbassato il ricorso all’assistenza pubblica. E’ diminuito anche l’accesso ai farmaci specifici per l’Alzheimer passando fra il 2006 e il 2016 dal 59,9% al 56,1%, così come si è ridotto anche ogni tipo di ricorso ai servizi d’assistenza per i malati di Alzheimer: dai centri diurni (dal 24,9% del 2006 al 12,5% del 2015), ai ricoveri in ospedali o strutture riabilitative/assistenziali (dal 20,9% al 16,6%), all’assistenza domiciliare integrata (dal 18,5% all’11,2%). Una sola tipologia di servizio è aumentata… Ed è il ricorso all’assistenza informale privata (quindi non professionalizzata): il 38% dei malati conta su una badante e il 18% malati di Alzheimer vive addirittura da solo con una badante. E’ questa l’assistenza cui aneliamo?

Oggi la scienza è molto impegnata a trovare cure efficaci per i malati di Alzheimer, ma è altrettanto importante che la politica si impegni, attraverso il sistema sanitario e sociale nazionale, a elaborare sistemi di prevenzione efficaci e modelli di gestione integrata per la cura di questa patologia”ha concluso Russo durante il suo intervento. “Di fronte all’impatto numerico di questa malattia e alle sue conseguenze socio-economiche, solo facendo uno sforzo comune fra tutti gli attori coinvolti, è possibile trovare soluzioni sostenibili, volte a migliorare la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari, senza le attuali differenziazioni territoriali, che purtroppo sono ancora importanti.” In altre parole, servono politiche mirate e seri investimenti sul versante socio-sanitario e serve che ognuno svolga la sua parte: Stato, Regioni e Comuni con il contributo indispensabile dei diversi soggetti della società civile organizzata.