“Attraversando l’emergenza Covid-19” di Giuseppe Dardes

Questa situazione mi ha piuttosto spiazzato e scaricato dal punto di vista emotivo.
Come ha commentato con amorevole perfidia mia moglie “ti sei scoperto umano”.
Non è un periodo facile per la gestione di tutte le novità che questa emergenza ci sta offrendo.
Di fatto io ho dimezzato, nell’arco di pochissimi giorni, la mia disponibilità di tempo per il mio lavoro principale.
Mia moglie non ha mai smesso di lavorare, assentandosi da casa con orari che vanno dalle 6 alle 10 ore (tra lavoro e viaggio per raggiungere la sede).
Io mi sono ritrovato ad accompagnare mio figlio più piccolo per la gran parte dell’orario scolastico e del primo pomeriggio.
La sensazione di straniamento e di frammentazione tra esigenze lavorative e comprensibilissime esigenze di presenza e compagnia del mio settenne è pesante (e senz’altro conta l’essere maschio e quindi con una scarsissima propensione al multi-tasking).
Il paradosso è che dopo i primi giorni, davvero spiazzanti, il carico di lavoro con la federazione non è diminuito, anzi. Si lavora di più e in condizioni di meno agio, ma con il rischio che una serie di incarichi possano cambiare, o finire, per una comprensibile contrazione di risorse.
In sostanza mi ritrovo ad aver meno tempo per lavorare, inseguire mio figlio per aiutarlo nei compiti e provare a recuperare arretrati che si accumulano appena rientra mia moglie.
Un primo enorme limite è dunque il tempo.
Confesso però anche un secondo dato, con cui devo fare i conti.
Per mettere parola su questa partita occorre avere una postura interiore ed uno spazio di elaborazione di quanto sta accadendo che a me manca e sta mancando.
Io sono il primo ad aver bisogno di comprendere come star dentro quella che molti hanno chiamato “la tempesta” (rifiutando l’immagine abusata della guerra che è chiaramente un’altra cosa).
Non sento di poter contribuire con pensieri non dico originali, ma sensati, su come attraversare questa fase. 
Vedo altri, colleghi, intellettuali, “esperti” che nell’arco di poco sono riusciti a trovare chiavi di lettura, ipotesi di uscita, ricette per fronteggiare il caos.
Io, in tutta sincerità, non mi sento in partita.
Forse sono più lento, o come dice Marina, mia moglie, sorprendentemente “umano” ma ho bisogno di più tempo per camminare con un nuovo equilibrio.
Finisco, prima di tuffarmi nell’ennesima sfinente call con Zoom – mentre il 7enne consuma le sue 2 ore di TV – con l’altro dato assolutamente surreale di quanto sto vivendo.
Da mesi sto coltivando un progetto sul tema prossimità e mi trovo, come in un film distopico, a fare i conti con un periodo storico in cui l’espressione chiave diventerà “distanziamento fisico o sanitario” (alcuni dicono sociale ma è decisamente improprio).
Insomma, chiedo pazienza e mi scuso perché forse non sono la persona giusta per questo momento.