Consiglio Nazionale Acli, Manfredonia: giustizia sociale, salario minimo e sicurezza sul lavoro: serve un nuovo corso di politiche sociali

“In un mondo così votato all’egoismo, davanti a questa economia della rendita, davanti alle ingiustizie ambientali e sociali che questa politica litigiosa non risolve, chiedono la pace cominciando dalle relazioni personali. La giustizia sociale nasce come un germoglio dalle relazioni umane per finire nelle grandi mediazioni politiche. La fratellanza umana deve essere il nostro grande obiettivo”. Con queste parole Emiliano Manfredonia, Presidente nazionale delle Acli, ha aperto oggi pomeriggio a Roma il Consiglio Nazionale: due giorni di confronto e discussioni sulle prossime attività da intraprendere e sulla direzione che le Acli hanno scelto di percorrere in vista del prossimo Congresso nazionale.

Tanti i temi affrontati dal Presidente nella sua relazione iniziale, a partire dal ruolo che l’Unione Europea è chiamata a svolgere in questa crisi mondiale: “Mai come adesso è necessaria un’Europa che si faccia agente di pace e che sappia avere una voce propria, ed una voce sola, nell’agone internazionale. L’Europa, il mondo intero, sono attraversati da venti di guerra che minacciano la vita delle persone. Questo momento di incertezza richiede un ritorno ai principi fondamentali del dialogo e della cooperazione internazionale: questa peraltro è richiesta dalla mobilitazione internazionale per la pace che emerge, ad esempio, dalle occupazioni nei campus statunitensi, che – al netto di intollerabili e preoccupanti espressioni di antisemitismo- sono espressione di dolore e di indignazione per le vittime dell’ormai debordante reazione israeliana alla carneficina del 7 ottobre”.

Sulle prossime elezioni europee, Manfredonia ha posto l’attenzione sulla pratica ormai diffusa delle pluricandidature di persone che programmaticamente hanno affermato che non siederanno nell’assemblea di Strasburgo: “È una prassi tutta italiana, perché i leader politici degli altri Paesi europei non fanno così. Il fatto che ormai i partiti siano funzionali ai loro leader è uno dei segnali della crisi della politica di cui avremo modo di riparlare e su cui faremo delle proposte concrete”.

Non ci può essere giustizia sociale senza il rispetto della dignità dei lavoratori. “Il salario minimo è senz’altro una possibile risposta, ma da sola non basta. Esso, infatti, non dev’essere slegato dalla contrattazione collettiva e dalle relazioni industriali che, in Italia, si sono costruite in decenni di confronto con le parti sociali e le organizzazioni maggiormente rappresentative. Per questo come Acli, non siamo d’accordo alla raccolta di firme per arrivare a un referendum per abrogare il Jobs Act. Può essere senz’altro modificato, ma non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo: dare risposte efficaci ai lavoratori e alle lavoratrici, che il referendum potrebbe farci perdere di vista”.

Un’esistenza libera e dignitosa in ambito lavorativo si misura anche nella sicurezza sul lavoro.  “Occorre una strategia che valorizzi il ruolo degli investimenti, sia quelli diretti in sicurezza, sia quelli che possono essere “condizionati” agli stessi obiettivi, come, per esempio, i sistemi di premialità nell’ambito dell’aggiudicazione degli appalti pubblici.  Una prospettiva nuova per la sicurezza sul lavoro deve farsi carico anche di un ripensamento della formazione, magari immaginando degli incentivi e degli sgravi per le imprese che la promuovono per i propri dipendenti, ma anche di un impegno a eliminare gli appalti e i subappalti a catena, dove massimo ribasso coincide con massimo rischio”.

Manfredonia ha poi analizzato l’operato del Governo, a partire dalle promesse mancate nella legge di Bilancio, approvata a dicembre: “Le misure che hanno riguardato il sociale e il lavoro sono state completamente disattese, come per esempio la gratuità degli asili per i secondi figli e i fondi ed i decreti attuativi per la tutela della non-autosufficienza, oppure rese solamente provvisorie. Penso, per esempio, al taglio del cuneo fiscale, approvato non in via strutturale e solo per il 2024. C’è poi il decreto Lavoro del primo maggio, reso noto per la Festa dei Lavoratori. Contrariamente agli annunci, non è previsto il passaggio da 3 a 2 aliquote Irpef, promesso dal Governo, così come la maxi-deduzione Irpef-Ires al 120-130%”.

“Il bonus tredicesima, la misura ovviamente una tantum riservata ai lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi e figli, non solo è stato rinviato a gennaio 2025, ma sarà anche tassato. Quindi, dai 100 euro che erano stati annunciati, si ridurrà a circa 80 euro. E, paradossalmente, andrà a più di un milione di famiglie monoreddito fino a 28mila euro, ma non a chi ha un reddito inferiore a 8.500 euro. In aggiunta, sono stati prorogati gli incentivi alle assunzioni per giovani e donne, con la scadenza fissata per il 31 dicembre 2025. Un intervento utile ma che non rappresenta una misura strutturale sul mercato del lavoro”.

Da parte nostra, come Acli, non possiamo non essere d’accordo con Papa Francesco quando dice che occorre un “un lavoro stabile e duraturo”, da contrapporre nettamente a “lavori così brevi che impediscono di progettare la vita” e a “bassi redditi e basse tutele che sembrano i muri di un labirinto”.

Serve un modello diverso, che non abbia soltanto lo scopo di incrementare i numeri dell’occupazione, ma che si basi su un lavoro di qualità, non da rimandare costantemente nel futuro, ma da attuare oggi. Per questo, credo siano fondamentali misure che abbiano lungimiranza e l’ambizione di andare oltre l’intervento una tantum e la provvisorietà, dando inizio a un nuovo corso delle politiche sociali e del lavoro”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il Governo ha operato per la famiglia. Come Acli abbiamo avanzato, al riguardo, alcune proposte: ad esempio, sulle agevolazioni per l’autonomia abitativa delle coppie, ma anche decontribuzioni e politiche strutturali che favoriscano la conciliazione tra tempo del lavoro e tempo della cura. Denatalità e fenomeno migratorio possano trovare sovrapposizioni sinergiche, che non mi sembra siano colte da chi, con dichiarazioni inverosimili sulla determinazione di un tetto massimo alla presenza di alunni e alunne straniere nelle classi, compromette alle radici ogni possibile politica d’integrazione che, al nostro Paese, occorre più che mai per cercare di arrestare questa tendenza”, ha spiegato Manfredonia.

Qui la relazione integrale