Di mamme ce n’è una sola?

Utero in affitto, maternità surrogata, procreazione medicalmente assistita omologa ed eterologa, fecondazione in vitro, ovodonazione. Dietro a queste espressioni, che hanno a che fare anche con la scienza medica e su cui si discute spesso in modo ideologico, c’è la vita, la storia delle persone, delle donne, degli uomini e dei bambini, con i loro reali o presunti diritti.

In Italia il dibattito sul disegno di legge Cirinnà ha portato in risalto la questione della cosiddetta maternità surrogata. I temi che toccano la dimensione umana non sono però questioni che riguardano solo gli scienziati o ristrette élite: riguardano tutti e per questo scaldano gli animi. Lo vediamo per la capacità di attrarre gente in piazza, dentro una dialettica aspra che rischia però di minare ogni possibilità di dialogo per comprendere questioni complesse che pongono rilevanti problemi etici e di tipo antropologico. Non può essere sottaciuto, ad esempio, il fatto che la fecondazione eterologa abbia impresso una svolta epocale alla generazione umana lasciando intravedere rischi antropologici immensi: i suoi sostenitori sembrano aver trascurato completamente non solo i princìpi etici che reggono la generazione umana, ma il fondamentale principio di precauzione, che costituisce il presidio della responsabilità di ciascuno di fronte alle generazioni future.

A reagire con forza nei confronti della maternità surrogata non sono stati solo ambienti del mondo cattolico ma anche di quello laico. Importanti soggetti dell’universo femminista sia in Italia che all’estero hanno infatti espresso con forza la loro contrarietà sostenendo che la maternità surrogata mercifica la donna, “riducendola” ad un utero senza diritti o sentimenti.

La giornalista, scrittrice e attivista svedese, Kajsa Ekis Ekman, in una recente intervista, ha osservato come: “Togliere tutti i diritti a una madre non può essere nell’interesse della donna. L’avere un figlio non può essere considerato un diritto umano. Non esiste alcuna convenzione che sancisca il diritto a usare il corpo di una donna per i propri scopi. Chiunque desideri avere un figlio può farlo, ma la maternità surrogata è diversa da qualsiasi altra pratica: significa creare bambini senza madri”. E ha affermato ancora, senza mezzi termini: “la maternità surrogata è prostituzione riproduttiva. La differenza è che in vendita c’è l’apparato riproduttivo e non quello genitale. Ma il concetto è sempre che il corpo di una donna sia in vendita”.

La maternità surrogata presenta dunque molte criticità di ordine psicologico, legale oltre che etico e sociale. Come noto in Italia, la legge n. 40/2004 sancisce espressamente il divieto al “ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”, e prevede, altresì, che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.

La preclusione ha portato al diffondersi del cosiddetto “turismo procreativo”, vale a dire di quel fenomeno per cui coppie, che non possono avere figli a causa dell’impossibilità della donna di procreare o di portare a compimento la gestazione (per malattia o per sterilità), si avvalgono di questa tecnica in un Paese estero, in cui è consentita. Ma non solo. Alla maternità surrogata ricorrono anche uomini che desiderano avere un figlio senza intraprendere una relazione con una donna. Questo porta ad ipotizzare che il ricorso alla maternità surrogata da parte di coppie eterosessuali e omosessuali sia una strada percorribile per ovviare alla disciplina dell’adozione per mancanza dei requisiti.

La legge n. 40/2004, va ricordato, non dispone nulla in ordine alla liceità o meno della surrogazione di maternità attuata all’estero da cittadini italiani. Ed è proprio su questo punto che si è aperto il confronto, e in alcuni casi lo scontro, sociale e giuridico.

Per questi motivi, per andare al di là della cronaca, degli appelli e delle diverse prese di posizioni la redazione di BeneComune.net ha pensato di proporre, per il mese di marzo, un focus dal titolo: Di mamme ce n’è una sola? Riflessioni sulla maternità surrogata. Medici e scienziati (Giuseppe Noia, Alessandro Giuliani) filosofi esperti di bioetica (Stefano Semplici, Dario Sacchini), psichiatri (Monica Vacca), giuristi (Vincenzo Antonelli) e persone impegnate in ambito sociale (Francesca Koch) e politico (Sergio Lo Giudice), con diverse sensibilità e opinioni, si sono confrontate su alcune questioni di fondo: fino a che punto si può spingere il desiderio di avere un figlio? É lecito parlare di diritto ad avere un figlio? Quali questioni etiche ed antropologiche apre la pratica dell’utero in affitto? La scienza su questo, come su altri temi, che ruolo è chiamata a svolgere? Che conseguenze di tipo psicologico avrebbero i bambini nati dal diffondersi di queste pratiche? Perché non si parla mai dei diritti dei bambini ma solo di quelli degli adulti (donna/uomo)?

Emerge un quadro interessante, una polifonia di voci che si incontrano e dialogano nella convinzione che il bene comune, delle donne e dei bambini prima di tutto, sia il punto di partenza di qualsiasi scelta personale e politica.

Quanto sostiene il dottor Giuseppe Noia è significativo: “Il nostro tempo parla sempre più di diritti ma in questo percorso vi sono due categorie a cui sono negati i diritti: la prima riguarda le donne donatrici di ovuli e le donne che donano il proprio utero. Esse non hanno diritti perché trattate commercialmente come schiave da contratto poiché viene espropriata la loro salute procreativa, la loro dignità e il loro futuro. La seconda categoria riguarda i bambini concepiti: a loro è negato il diritto di incarnare i 9 mesi della loro vita prenatale in una figura materna che avrebbero dovuto chiamare mamma. Questo non sarà mai possibile. La salute della donna è un bene prezioso da salvaguardare così come la capacità di procreare ma nell’ovodonazione la donna viene espropriata della verità di informazione per non creare consapevolezza. Rubare beni materiali è un fatto grave ma rubare l’anima e la dignità delle persone è un delitto contro l’umanità, tutta l’umanità”.