Domenica 13 gennaio 2019

BATTESIMO DEL SIGNORE

Dal vangelo secondo Luca Lc 3,15-16.21-22
In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Un Dio che da uomo tiene i piedi per terra e il cielo negli occhi e nel cuore

A cura di don Cristiano Re, accompagnatore spirituale Acli Bergamo

“… E mentre pregava, si aprì il cielo”, abbiamo ascoltato nel Vangelo.
Bellissimo, cieli aperti, acqua e cieli aperti.

Non sono solo parole ma un immagine che ci parla ancora del farsi vicino di Dio, di una prossimità non confinata nel puro teorico, in lezioni spirituali che aiutano le persone con le parole e gli insegnamenti, ma che quando le persone si trovano dentro ai problemi concreti e reali bisogna che uno si arrangi o vada da qualcun altro.

Se la religione si occupa di anime senza corpi allora questa non è la religione di Gesù perché Gesù si occupa di persone tutte intere.

Persone fatte di carne e di spirito, persone fatte di bisogno e di desideri.
Persone fatte di concretezza e profondità.

Acqua e cieli aperti; un Dio che da uomo tiene i piedi per terra e il cielo negli occhi e nel cuore; che non si occupa di una sola nostra parte ma di tutto.

Abbiamo passato tanto tempo anche nei giorni appena trascorsi per provare ad accogliere Dio che continua a farsi piccolo uomo; a ridirci che la logica dell’incarnazione è quella che ad esempio non ci fa dire a un povero affamato ti benedico e vai in pace, ma ci fa fermare con lui a cercare da mangiare concretamente; che ci fa stare dentro alle vite degli uomini vicini a loro anche quando non abbiamo soluzioni, non sappiamo bene da che parte andare ma facciamo pezzi di strada assieme.

La logica dell’incarnazione ci chiede di prendere sul serio la vita di tutti; vicini, lontani, credenti o no, sani o malati.

Luca parlando di Gesù in questo brano scrive “Anche lui…”

Una congiunzione che dice non solo il senso di un gesto ma dice il modo di vivere tutta la sua esistenza e lo stile che l’ha caratterizzata.

Sento che ho bisogno di starci sopra ancora su questa cosa.

Se andiamo oltre le belle paroline e i sentimenti ci accorgiamo che forse non smetteremo mai di convertirci a questo.

Va bene che il Signore per raggiungere l’uomo sia diventato uomo anche lui; va bene che sia nato fuori e che l’annuncio della sua nascita sia arrivato agli esclusi, ai pastori.
Bella immagine che ad adorarlo siano venuti degli uomini da lontano mentre i vicini non lo hanno accolto,
ma qui si va ancora oltre: mettersi in fila, senza chiedere di passare avanti, tra uomini bisognosi di ripartire, di cambiare vita.

Non so voi, ma faccio fatica ad avere una Fede così libera e forte da esser così.
Faccio fatica a riconoscermi davvero discepolo di tutto questo e in tutto questo.

Si muovono cose grosse. Sentire che in qualunque situazione io mi posso trovare i segni del suo amore ci sono.
Pensare che amare davvero è voler condividere con l’altro la sua stessa e vera condizione e non quella che ci inventiamo noi o che piacerebbe a noi.
Essere capaci di amare tanto che saremmo disposti a prendere su di noi il male che può aver colpito una persona a cui vogliamo bene, come farebbe una mamma o un papà col suo bambino.

Cose grosse, profonde e che ci provocano molto e che ci dicono quali sono gli spazi per vivere la Fede nella nostra vita.

Ci capita a volte di stare così male da sentire i cieli chiusi e lo sappiamo bene tutti come pesano i cieli chiusi; quando ci pare che tra noi e ciò che è infinito ci sia una coltre spessa ed impenetrabile e che Dio si sia dimenticato di noi.
Allora davvero l’aria diventa irrespirabile e ci sentiamo schiacciati a terra e chiusi nei nostri limiti.

I cieli chiusi entrano negli occhi, nel cuore, indeboliscono i passi, fiaccano le mani e ci troviamo presto immobili e incapaci di aggrapparci a qualcosa che ci impedisca di scivolare dentro ai crepacci più bui e profondi della nostra esistenza.

Ecco è notizia di enorme bellezza ed energia, quella di cieli squarciati e per sempre aperti, come una finestra spalancata in un mattino di primavera che fa entrare aria fresca e luce; che permettono di non perdere di vista orizzonti ampli, che liberano gli occhi e ti fanno venire incontro il cielo.

Da questo varco tra cielo e terra passa il soffio di Dio, scende lo Spirito, ed è bello che il Vangelo ci tenga anche qui a specificare “in forma corporea”, sempre “il dentro ed il fuori” uniti e inscindibili.
Testa, cuore, mani, piedi, pancia, tutto parte della stessa vita, amata, abitata, vissuta da Dio.

“Tu sei il mio Figlio, il diletto, in te mi sono compiaciuto”.
Ecco non è un giorno solo quello in cui Dio dice: “Tu sei mio Figlio…”.

Come per un padre, come per una madre, ci sono giorni in cui ti vengono spontanee sulle labbra, quelle parole: “Tu sei mio figlio”.
Sono parole che escono dal cuore.

E anche nella Parola, da padre Dio, dice: “Tu sei mio Figlio”.

Mi torna alla mente il passaggio dell’inizio della vita di Gesù, cieli aperti e squarciati per riversarsi nel grembo di una donna “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra, la potenza dell’Altissimo.
Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio”.

E Gesù nasce e immagino Dio che guardandolo come un miracolo, dice “ecco, mio Figlio…”, così come quando mettono un bimbo appena nato sulle ginocchia di una madre e di un padre. E ti vengono al cuore le parole “tu sei mio figlio”.
Così Dio!

Una notizia potentissima quella che ci ricorda che come uno nasce, uomo o donna che sia, per Dio è un figlio, è scritto nella sua carne.

E con il Battesimo dei bambini noi lo diciamo, noi lo celebriamo.
Diciamo che tu sei un figlio, un figlio amato, prima ancora che tu possa dire “amen”, prima ancora che tu possa fare un passo nel bene o nel male.
Tu, figlio amato, tu sulle ginocchia e dentro all’abbraccio di Dio.
Le braccia aperte di Dio per farti sentire il battito del suo cuore ed il calore della sua pelle sono il racconto è l’immagine più chiara di cosa significhi il cielo aperto.

“Tu sei mio Figlio”, lo dicono un padre e una madre quando il figlio è cresciuto e ti sembra arrivato là dove era il suo destino, la sua vocazione, al suo posto, là dove era chiamato per quella chiamata scritta nella carne.

Ecco, stupisce ed è un messaggio forte che la voce dal cielo dica “Tu sei mio Figlio”, sei al posto giusto, proprio su un uomo, un figlio che si è immerso nelle acque con i peccatori, nel battesimo di tutti.

È scritto, “quando tutto il popolo fu battezzato, essendo stato battezzato anche lui”-, in questo atto di solidarietà, di condivisione con le storie degli uomini e delle donne del suo popolo, e non nella distinzione, ma nell’immersione, non nella potenza o nella superiorità, ma nella mitezza e nell’umiltà, ci sta la vita di Dio, ci sta ciò che Dio ritiene suo, ritiene suo figlio.

Ecco cosa significa vedere aprirsi i cieli, cosa significa che c’è un varco tra finito ed infinito.

Di questo Figlio, di questi figli Dio è orgoglioso, immersi nella solidarietà, nella condivisione, nel bene che sempre sa essere più forte del male, che si immerge nella storia per quella che è, e sceglie di non perdere mai di vista nei giorni che passano la bellezza, le possibilità di bene che ci sono offerte, quelle che ci avvicinano ai perché profondi nostri e di chi ci sta vicino.

Nascite e rinascite. Partenze e ripartenze.
Tutto nel segno e nella Parola che continuamente ci ricorda chi siamo, da dove veniamo, dove dobbiamo andare “tu sei mio figlio”.

Essere figli.
Ritornare sempre ad essere figli per continuare ad imparare ad essere fratelli, padri, madri.